La pervasività del male da un lato e dall’altro il progetto di salvezza di Dio sono stati i motivi conduttori dell’omelia dell’arcivescovo Giacomo pronunciata nella celebrazione eucaristica vespertina mensile per le aggregazioni laicali presieduta nella chiesa parrocchiale di Sant’Alberto martedì 18 febbraio.
Mons. Morandi ha evidenziato la grande malvagità di cui l’uomo è capace e si rende protagonista; le stragi di innocenti in Rwanda, nei Balcani, in Terra Santa in Ucraina fanno sorgere la domanda: da dove viene tanto male? Come è possibile che l’uomo diventi carnefice? Eppure il brano della Genesi che racconta il diluvio universale dimostra che il male – anche se dilagante – non ha mai l’ultima parola: l’uomo non distrugge l’opera creatrice di Dio; il progetto di salvezza persiste.
Dio suscita persone perché ci sia la ripartenza: è un cantiere aperto; quello del Signore non è un restauro conservativo, ma vuole fare nuove tutte le cose. Dio attraverso i peccati degli uomini apre nuove strade nel deserto, lo fa rifiorire.
Nella sua prima lettera l‘apostolo Pietro definisce il diluvio l’immagine del battesimo che rende nuova creatura; è tomba perché l’uomo vecchio muore e grembo che genera la nuova creatura; ma grande è la fatica di vivere la nuova realtà perché permangono i residui dell’uomo vecchio.
La liturgia è stata animata dall’Opera di Nàzaret.
Mons. MorandI ha quindi affrontato il tema del “combattimento spirituale” che il cristiano deve affrontare contro i principati e le potestà indossando l’armatura i Dio: spada (la Parola), scudo (la fede), calzari (per annunciare il Vangelo nel mondo), corazza (la giustizia), cintura (la verità).
Scopo del combattimento è innanzitutto quello di togliere la zizzania da sé prima di indirizzarsi agli altri e al riguardo ha citato lì’immagine della città assediata dove la sentinella deve impedire al male di giungere alla cittadella, cioè al cuore della persona.
Quindi il cammino di purificazione deve partire dal cuore, da cui nascono i pensieri malvagi; fenomeno che può contaminare le relazioni anche nella Chiesa e nelle associazioni. Il discepolo di Cristo deve abbandonare l’incredulità e la durezza del cuore ed essere capace di leggere i segni che Dio manda nella vita di ciascuno.
g.a.rossi