Dopo il Prologo, ovvero Das Rheingold (L’oro del Reno) presentato lo scorso ottobre, che apre la Tetralogia wagneriana, va ora in scena al Teatro alla Scala, dal 5 al 23 febbraio, Die Walküre (La Valchiria) per la regia di David McVicar, con scene dello stesso McVicar insieme a Hannah Postlethwaite e costumi di Emma Kingsbury.
Completeranno il ciclo Der Ring des Nibelungen gli altri due drammi musicali di Richard Wagner: Sigfrido e Il Crepuscolo degli déi, in programma in questa medesima stagione operistica scaligera 2024-2025.
Nel cast di Valchiria alcune delle voci wagneriane più autorevoli del nostro tempo: Siegmund è Klaus Florian Vogt, Sieglinde Elza van den Heever, Wotan Michael Volle, Brünnhilde Camilla Nylund, Fricka Okka von der Damerau e Hunding Günther Groissböck.

Un allestimento di grande impatto, con la maestra Simone Young sul podio che ha diretto molto bene l’orchestra, restituendo al pubblico le atmosfere contenute nelle pagine del compositore tedesco, rendendo e mantenendo con la musica la tensione degli eventi narrati, ottenendo dai musicisti quell’adeguata gamma di sonorità e volumi perfettamente amalgamata con le voci dei cantanti in scena.
Peccato per i melomani afflitti ancora da qualche recondito pregiudizio, alcuni dei quali hanno anche chiesto il cambio data per sentire Die Walküre diretta da Alexander Soddy (la Young dirige le rappresentazioni del 5, 9 e 12 febbraio mentre Alexander Soddy quelle del 15, 20 e 23).

La regia di David McVicar assume il tono alto della tragedia, ponendo al centro il rapporto fra Siegmund e Sieglinde, ora come amore fraterno, ora come amanti, al quale incestuoso rapporto si lega il concepimento di Siegfried, l’eroe della terza parte della tetralogia.
Ma ampio risalto è dato anche al dramma interiore di Wotan, schiacciato fra il sentimento più umano di padre e il ruolo di dio, bramoso di quella libertà che, anche se onnipotente, non può dare a sé stesso: essere il signore degli déi rappresenta un fardello che solo il sacrificio e le deliberate scelte di Brünnhilde, benché sotto il segno della disobbedienza, riescono a lenire.

Proprio il dialogo fra la valchiria Brünnhilde e Wotan, a rappresentare esternamente un percorso introspettivo del dio che alla fine “ascolta” la voce della propria coscienza, che è poi la voce della figlia, eco di una parte di sé, e l’incantesimo e addio di Wotan in una scena scintillante e magica, di straordinario effetto spettacolare, chiudono l’opera, fra applausi e apprezzamenti del pubblico che ha così manifestato un alto gradimento dell’esecuzione anche durante la prima parte dello spettacolo.
Mario Colletti