“Benvenuti in una città senza acqua, senza corrente, senza cibo, senza medicine. Benvenuti a Sarajevo negli anni Novanta”.
Comincia così War Childhood (“Infanzia di guerra”), il libro attraverso cui Jasminko Halilovic ha racimolato i ricordi drammatici dei 1.425 giorni d’assedio che sfregiarono in maniera crudele e indelebile la capitale della Bosnia-Erzegovina al tempo della guerra in Jugoslavia.
Per riavvolgere il nastro degli orrori Halilovic ha scelto di affidarsi a coloro che più di tutti hanno patito le sofferenze (e le conseguenze) del conflitto: i bambini. “Ho imparato che crescere in guerra è un’esperienza complessa, non sufficientemente studiata e universale”, ha dichiarato l’autore, che da quelle sue pagine ha tratto ispirazione per eternizzare ancora di più il concetto espresso nel libro.
Un museo dedicato ai bambini in guerra
Nel 2015 è nato infatti il War Childhood Museum, dedicato – letteralmente – all’infanzia in guerra. Per chi visita Sarajevo è una tappa imperdibile, in grado di trasportare chi varca la soglia un po’ nascosta tra i vicoli che scendono verso la Bascarsija (il centro storico) indietro di trent’anni, fino alla tragedia che per anni ha insanguinato i Balcani.
Tre piccole sale, un percorso obbligato attraverso gli oggetti appartenuti ai bambini che hanno vissuto la guerra e un silenzio profondo contraddistinguono questo museo unico nel suo genere, premiato per la sua mission dal Consiglio d’Europa nel 2018.
Superare le esperienze traumatiche
“La visione del War Childhood Museum è quella di aiutare le persone a superare le esperienze traumatiche del passato e prevenire i traumi altrui, promuovendo allo stesso tempo la comprensione reciproca a livello collettivo per migliorare lo sviluppo personale e sociale”, si legge nella descrizione dello spazio espositivo.
Appena entrati si viene catapultati in un’esperienza profondissima che coinvolge l’intera sfera sensoriale: si ascoltano diversi suoni, dal fruscio dell’erba al rimbalzo del pallone in una palestra, oppure si annusano profumi o si applica un adesivo sotto alcune frasi, tutto per rievocare la propria infanzia.
Bosnia, Gaza e Ucraina
Negli anni il museo ha raccolto oltre seicento oggetti appartenuti alla gioventù passata attraverso il dramma della guerra in Bosnia-Erzegovina, ciascuno corredato da una descrizione fornita dai proprietari, assieme alle motivazioni che li hanno spinti a donare quello che tante volte è l’unico ricordo di un familiare scomparso.
Tra abitini colorati (“L’unico vestito nuovo che ricevetti durante la guerra”, dal racconto di Vesna) e aiuti umanitari conservati integri fino ad oggi, dalla tela di nylon targata Unhcr alle lattine di cibo, il Museo di Sarajevo si è arricchito con due nuove sezioni contenenti oggetti provenienti dai teatri di guerra più caldi degli ultimi mesi: l’Ucraina e la Striscia di Gaza.
C’è il braccialetto intrecciato a formare i colori della bandiera palestinese che appartiene a Hala, vissuta quattro anni in Malesia dove ha imparato che “la vita è differente fuori da Gaza”. C’è un peluche a forma di cagnolino che ha “salvato la vita” a Dmytro, corso fuori per recuperare il suo pupazzo in cortile durante un pomeriggio di giochi e, proprio in quel frangente, scampato al fuoco dei proiettili russi diretti verso casa sua.