Romeo e Giulietta in scena a La Fenice

La celeberrima tragedia di W. Shakespeare non ha certo bisogno di presentazioni: la trama, i personaggi, i contrasti, l’amore tra i due giovani amanti, il drammatico epilogo, sono sedimentati nella coscienza collettiva di donne e uomini di ogni cultura e nazione.

Il teatro La Fenice di Venezia inserisce l’opera nella stagione 2024-2025 nella versione del balletto “Romeo e Giulietta” di Sergej Prokof’ev, con la coreografia e la regia di John Neumeier.

Il grande compositore russo compone le musiche di Romeo and Juliet (op. 64) nel 1935/36, apportando una revisione nel 1940, ma per la sua prima rappresentazione si deve aspettare il 1971, quando il Frankfurt Ballet lo mette in scena nella medesima città tedesca.

Poco tempo dopo, il danzatore e coreografo John Neumeier (classe 1942) ne disegna le coreografie per il suo Hamburg Ballet, la medesima compagnia di ballo che lo ha rappresentato in questi giorni al teatro La Fenice, più di cinquant’anni dopo, e sempre con le coreografie e la direzione del maestro John Neumeier.

L’orchestra del Teatro La Fenice, diretta da Markus Lehtinen, ha eseguito le splendide pagine che Prokof’ev ha composto per il balletto, profondendo attraverso la musica gli stati d’animo del dramma, talvolta esagerando forse con il volume e la potenza richiesta ai professori d’orchestra.

La coreografia di Neumeier mette certo in evidenza il lato umano dei personaggi, miscelando sapientemente tratti del balletto tipicamente “classico”, con espressioni di “moderno”, il cui risultato, visibile nell’armonia dei movimenti e nel dialogo dei corpi, è senz’altro più apprezzabile verso la fine del secondo atto e per tutto il terzo, dove la scena è dedicata solo ai protagonisti, senza altre comparse.

Altre scene più “affollate”, talvolta comprendendo più di trenta ballerini dell’Hamburg Ballet sul palcoscenico, risultavano più confuse, con passi e movimenti meno coordinati e sincronizzati.

Il risultato finale è stato piacevole e apprezzabile, con un accento dei ballerini più verso l’espressività corporea dei sentimenti interiori dei personaggi della tragedia che la cura dei dettagli tecnici, rendendo certamente il balletto meno accademico ma altamente poetico.

Mario Colletti

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