Se qualcuno chiedesse ai bambini e ai ragazzi delle scuole della provincia di Reggio Emilia: “Ti piace il presepe?” (spinosa domanda inserita nell’opera teatrale di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello”), non risponderebbero alla stessa maniera di Tommasino, figlio “che voleva fare il giovane moderno” di Luca Cupiello.
Lo si comprende dalle decine e decine di rappresentazioni della Natività realizzate, grazie alle idee e al lavoro degli insegnanti di religione cattolica, dei loro colleghi e dei loro allievi, nelle più disparate realtà scolastiche e degli istituti comprensivi; le cui immagini sono state pubblicate tra le storie della pagina ufficiale Istagram degli IDR della diocesi di Reggio Emilia “Noi insegnanti di religione”.
Allora scriviamolo senza timore di essere sconfessati: dopo 800 anni dal primo praesepium (presepe-mangiatoia) realizzato dall’umile santo laico italiano, Francesco a Greccio (nella valle reatina), il presepe risulta essere ancora, per i suoi valori universali e per il suo messaggio umano e religioso una rappresentazione che supera qualsiasi visione limitante il dialogo e soprattutto il confronto culturale nelle scuole tra chi crede, chi si avvale dell’Irc e chi non crede o non si avvale di tale insegnamento.
A chi insinua l’inopportunità di realizzare il presepio a scuola, perché la stessa risulta essere laica, supportando la nuova moda del “meglio il nulla del politicamente corretto”, o il “cancelliamo i termini Gesù e Natale” dalle recite e dalle canzoni di Natale, si può rispondere che il progetto didattico del presepio, al di là del senso religioso che si può attribuire, riesce a coinvolgere pure gli studenti non avvalentesi, perché attraverso i valori comuni espressi da questa rappresentazione artistica si tende a lanciare un messaggio umanizzante e valido per tutte le religioni e culture del mondo.
San Francesco, come citano le Fonti Frascescane al capitolo XXX, o Tommaso da Celano nella Vita di San Francesco, o ancora altre testimonianze, intendeva realizzare il presepio per rivivere e rivedere la nascita del “Bambino di Betlmemme” dopo essere tornato dalla Terra Santa martoriata dalle guerre per le crociate.
Il poverello di Assisi aveva tentato un dialogo con i musulmani per riportare la pace nei luoghi dove si interfacciano le tre religioni monoteiste.
Attraverso la tenerezza, la fragilità e la semplicità di un evento umano (la nascita) e nel contempo divino per i cristiani, immerso e ambientato in una stalla della valle reatina, che richiama alla mente la bellezza e il senso dello stupore umano per la natura che ci circonda, Francesco volle esprimere i valori dell’amore fraterno ed universale, della pace, della solidarietà, del rispetto della natura, nonché quello della sacralità e la preziosità della vita che nasce in mezzo a tanti problemi e disagi, spesso creati dall’egoismo umano, con un presepio che per gli storici rappresenta un “sogno”, una “visione” non clericale, ma laica e proveniente dal basso, dal popolo di Dio, dal sentore del popolo italiano, che diventa “una protesta silenziosa” rispetto a chi sottolinea e usa le differenze culturali e religiose per disumanizzare con la guerra l’umano.
Massimiliano Ive