Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo Giacomo Morandi in occasione dell’apertura del Giubileo in diocesi il 29 dicembre scorso.
Il cammino del Giubileo: occuparsi delle cose di Dio Padre
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Con queste parole Gesù risponde a Maria e Giuseppe che angosciati lo cercano tra la folla dei pellegrini a Gerusalemme.
È l’unica parola di Gesù che ci è consegnata dei trent’anni vissuti a Nazareth. Sottomesso a Maria e a Giuseppe. Nulla di più di queste parole.
Eppure, in questa risposta che rivolge ai genitori è contenuta e rivelata tutta la vita di Gesù, del Figlio di Dio.
Occuparsi delle cose di Dio
I suoi anni di silenzio e nascondimento a Nazareth e il suo ministero instancabile sulle strade polverose di Galilea, Samaria e Giudea non sono altro che occuparsi delle cose di Dio. Sorge allora spontanea una domanda. Quali sono le cose di Dio a cui Gesù dedica tutto se stesso fino al dono totale di sé?
Occuparsi delle cose di Dio è innanzitutto rivelare l’amore misericordioso del Padre, di cui Gesù ci parlerà attraverso quella parabola del Padre che vedendo, da lontano, tornare il figlio minore devastato da una vita dissipata e dissoluta, gli fa sperimentare un abbraccio che in un istante dissolve, come neve al sole, il suo peccato e la sua miseria e l’irrompere di una festa piena di gioia e di vita nuova (cf. Lc 15,11ss.)
È questa la lieta notizia che celebriamo in questi giorni del Santo Natale: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Gesù, il Figlio amato, rivela il cuore grande e misericordioso del Padre che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva! (cf. Ez 18,23) Nessuno deve andare perduto, come ci insegna la parabola del pastore che lascia le novantanove pecore sui monti o nel deserto per cercare quella perduta! (cf. Mt, 18,12-14; Lc 15,4-7)
Il senso del Giubileo
Ed è questo il cuore e il senso più profondo del Giubileo: essere immersi nella misericordia del Padre, accogliere questo abbraccio di benevolenza e di misericordia! Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri – ci dice l’evangelista Giovanni – Dio è più grande del nostro cuore! (cf. 1Gv, 3,20).
E se anche “i nostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1,18). E allo stesso tempo risuonano nel nostro cuore le parole dell’apostolo Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio” (2Cor 5,20-21).
Il Giubileo è la celebrazione della misericordia infinita del Padre, di un Dio che non si rassegna al nostro peccato e al fatto che possiamo vivere lontano da Lui, che va in cerca. Dal momento nel quale i nostri progenitori uscirono dal giardino dell’Eden, Dio si è messo alla ricerca dell’uomo e tutta la storia della salvezza altro non è che questa ricerca appassionata del Signore nei nostri confronti, perché nessuno vada perduto.
Passare quella porta significa passare attraverso l’esperienza di una misericordia che non arretra dinanzi a nulla e guardare da lontano, come il Padre misericordioso, finché il figlio torna a casa per poterlo abbracciare e fare festa con lui.
Occuparsi delle cose di Dio significa riversare questo amore travolgente sui fratelli e sulle sorelle che incontriamo sul nostro cammino di pellegrini, animati e sostenuti da quella speranza che non delude! (cf. Rm 5,5) Gesù lo dice alle folle e lo dice oggi anche a ciascuno di noi che è qui: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.” (Lc 6,36-37).
Tempo propizio di riconciliazione e pace
Carissimi fratelli e sorelle, quanto abbiamo bisogno che il nostro presbiterio, i diaconi, le nostre comunità religiose, le nostre comunità cristiane, le nostre famiglie siano luoghi di benevolenza e di perdono, nei quali si possa testimoniare e rivelare al mondo “quanto è bello e dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133.1).
Se non siamo disposti a vivere questa carità tra di noi, anche se parlassimo le lingue degli uomini e degli angeli, saremo come bronzo che rimbomba, e se anche avessimo lo spirito della profezia e conoscessimo tutti i misteri e possedessimo la fede da trasportare le montagne, ma non avessimo la carità, siamo un nulla (cf. 1Cor 13,1-2). È il monito che Paolo rivolge a ciascuno di noi.
Il tempo santo del Giubileo sia un tempo propizio di riconciliazione e di pace, certo quella pace che invochiamo con insistenza per la Terra nella quale il Signore è nato, nella martoriata Ucraina, come spesso il santo Padre ci ricorda, ma sappiamo bene che anche tra di noi abbiamo bisogno di pace e di pacificazione.
Mettiamo da parte i rancori e i risentimenti che forse da troppo tempo inquinano la vita delle nostre parrocchie, dei nostri presbitèri, delle comunità religiose, delle famiglie; chiediamo con insistenza la pace del cuore da cui può realmente nascere una vita nuova e pienamente redenta!
Sguardo e premura per i nostri fratelli e sorelle poveri
Occuparsi delle cose di Dio significa avere uno sguardo e una premura privilegiata per i nostri fratelli e sorelle poveri. La verità della nostra conversione, infatti, si misura da quanto siamo capaci, come comunità cristiana, di farci carico delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri, soprattutto di coloro che soffrono! (cf. Gaudium et Spes, n.1)
Signore, ti chiediamo che la nostra Chiesa sia sempre più un luogo dove i nostri fratelli e sorelle segnati dalla fragilità e dalla povertà umana e spirituale si sentano a casa loro, amati e custoditi come il tesoro più prezioso che il Signore ci ha affidato, nella speranza che nel giorno del giudizio possano risuonare per ciascuno di noi quelle parole consolanti: “In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Il tempo, la salute e tutti i doni che il Signore ha riversato nella nostra vita siano consumati nella carità e dalla carità, perché essa è l’unica cosa che rimane. Che senso avrebbe una vita nella quale possiamo anche raggiungere obiettivi professionali elevati, se non abbiamo imparato ad amare e a donare e a fare della nostra vita un’offerta? Che cosa rimane di noi? Soltanto l’amore che abbiamo seminato e donato incondizionatamente.
Qualche tempo fa mi scriveva una persona: “Mi raccomando, insista sul fatto che in questo tempo di Giubileo possiamo andare a trovare qualche persona ammalata o qualche famiglia in difficoltà, con gravi disagi…”
Certo, è un tempo propizio, un tempo nel quale possiamo veramente dilatare la nostra capacità di amare; la carità è creativa: ci sono tante occasioni. E noi spesso chiediamo perdono al Signore delle nostre omissioni, del tanto bene che potevamo fare e non abbiamo fatto. Che l’anno che ci sta davanti, che abbiamo aperto solennemente, sia l’anno nel quale non ci facciamo sfuggire nessuna possibilità di farci prossimo dei nostri fratelli e sorelle!
Come gioiosi pellegrini
Infine occuparsi delle cose di Dio significa alzare lo sguardo verso la Gerusalemme celeste, la città nella quale una moltitudine incommensurabile di fratelli e sorelle canta e celebra, nell’eterna memoria, le meraviglie di Dio.
Gesù lo dice a Marta, affranta dal dolore per la morte del fratello Lazzaro: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25).
Cari fratelli e sorelle, siamo pellegrini verso questa città che non ha bisogno della luce del sole, né della luna, perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello (cf. Ap 21,23).
Il nostro cammino di pellegrini sia trasfigurato da questa attesa gioiosa, dalla speranza di vedere Dio così come Egli è (cf. 1Gv 3,2) e in Lui vedere tutte le persone che amiamo e che ci accompagnano e vegliano sul nostro pellegrinaggio, come amici e testimoni di quella Speranza che non delude!
Sorge spontanea anche qui una domanda: “Che cosa abbiamo messo nello zaino del pellegrinaggio che è la nostra vita?”
Il santo Giuseppe Benedetto Labre, instancabile pellegrino per i santuari d’Europa, nel suo zaino aveva un po’di pane, il Vangelo, l’Imitazione di Cristo e il rosario. E noi cosa intendiamo mettere in questo zaino?
Cari fratelli e sorelle, iniziamo questo Anno di grazia illuminati e sostenuti dalle parole dell’apostolo Pietro: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della Speranza che è in voi” (1Pt 3,15).
+ Giacomo Morandi