Vita. Che cosa è la vita? Magari si potrebbe ricominciare da questa domanda per riavvolgere il nastro di un mondo che sembra andare al contrario in cui i più giovani giocano ad ammazzare gli altri senza sapere che i primi ad essere uccisi sono loro stessi.
La morte ha fatto irruzione nella loro quotidianità da quando non se ne ha più rispetto: vivi tutto al massimo. Beviti ogni emozione. E soprattutto fallo solo per te stesso. Stuoli di psicologi, psichiatri, educatori, preti, genitori si interrogano sul perché i ragazzi non abbiano più il senso e il rispetto della morte.
Le responsabilità del fenomeno sono note e la morte diventa business: forum, trasmissioni tv, giornali, social… tutti a scandalizzarsi e tutti morbosamente attaccati ai dettagli più segreti. “Era una famiglia normale”. “Era un ragazzo a posto”. “Erano tranquilli”. Sono le testimonianze raccolte dopo la strage familiare che ha riempito le cronache degli ultimi giorni. Di normale, a posto e tranquillo non c’è nulla se a 17 anni stermini la tua famiglia. Nessuno si è accorto di nulla. Pare impossibile che non si conoscano le persone che si hanno accanto, anche all’interno delle stesse famiglie, siamo perfetti sconosciuti.
Quel giorno in quella casa, sono morti in quattro. Anzi, il diciassettenne autore della strage era già morto prima, ma nessuno se ne è accorto. Si muore una prima volta quando si è soli. Il mondo ti istruisce che devi farcela da solo ad affrontare paure, problemi e difficoltà. Bisogna fare affidamento esclusivamente su sé stessi, altrimenti si passa per deboli e perdenti. Ma non svela come uno ce la può fare da sé.
La seconda volta che si muore è quando si trova il coraggio (o codardia) di decidere di ammazzare qualcuno per sfogare la propria frustrazione, o peggio per avere le attenzioni degli altri. La ricerca dell’indipendenza avrebbe spinto il 17 enne a compiere questo gesto. Anche questo insegnamento arriva dal mondo là fuori: sbarazzarsi di chi potrebbe ostacolare la propria voglia di libertà, di fare ciò che pare e piace infischiandosene del resto.
Si muore per la terza volta quando in preda a quella rabbia uccidi. In quel momento non ci si accorge di aver perso contro sé stessi e contro la stessa vita da cui si vuole scappare. Il delirio di onnipotenza che scatta in quei frangenti è quello di un io dominante che prevarica tutto il resto. Proprio come insegna la mentalità odierna: vali solo tu.
E infine si muore quando ci si rende conto che ciò che si è fatto non cambia nulla. Non libera dai propri dubbi, dalle proprie incertezze, anzi ne porta altre. E ci si ritrova ancora più soli di prima. E quel mondo che prima pareva esserci, che ha bombardato testa e pensieri seducendo il male oscuro che albergava dentro quel ragazzo, all’improvviso non c’è più. Si è già dimenticato di te. Anzi, non ti ha mai avuto in nota.
Da decenni si conoscono cause e conseguenze di questi gesti sempre più in aumento. E non si fa nulla. Si continua, invece, a evocare la cultura della morte uccidendo quella della speranza, l’unica che insegna ad amare la nostra vita. Comunque essa sia.