Il compito di scrivere alcune considerazioni sulla figura del vescovo Gilberto Baroni mi ha dato l’opportunità di rivivere tanti momenti e tante immagini di persone e di avvenimenti che si sono susseguiti nell’arco dei venticinque anni del suo episcopato.
Sono stati anni pieni di fermenti, di entusiasmo e di progetti dovuti in gran parte al Concilio Vaticano II che si era concluso nel dicembre del 1965.
Il vescovo Baroni sposò con determinazione e preparazione il rinnovamento attraverso i suoi discorsi, sempre apprezzati, le lettere pastorali e numerose scelte in tanti campi della vita diocesana.
Ebbe molta risonanza la lettera pastorale della Quaresima del 1982 dove il Vescovo propone il digiuno televisivo per combattere la video dipendenza.
Lasciando ad altri, più competenti di me, approfondimenti sulle significative realizzazioni: Seminario, missioni, Caritas, diaconato, Sinodo diocesano…, desidero soffermarmi su alcuni aspetti meno noti ma altrettanto significativi che descrivono ancora meglio la personalità di questo nostro Pastore.
Innanzitutto vorrei mettere in evidenza il suo rapporto con i sacerdoti che a prima vista poteva apparire un po’ distaccato, ma in concreto era attento e rispettoso; soprattutto nei confronti di chi si trovava in particolare difficoltà. Ha sempre dimostrato vicinanza anche nei confronti di chi faceva scelte di abbandono dello stato sacerdotale, pur nel dolore provocato da queste scelte. Ricordo un confratello che, in piena crisi, andò dal Vescovo per comunicare la sua decisione di abbandonare la vita sacerdotale ma ritornò sui suoi passi quando sentì l’abbraccio paterno e addolorato del suo Vescovo.
Anche da pensionato non dimenticò i suoi sacerdoti che raggiungeva con telefonate, a volte improvvise e inaspettate, sfruttando occasioni varie. Ha saputo accogliere, con discernimento, scelte particolari provenienti anche dalla base ecclesiale.
Ha accettato che alcuni preti, una decina, potessero scegliere l’esperienza di lavorare in fabbrica per stare più vicino al mondo operaio; negli anni ’60-’70 i preti operai in Italia erano trecento.
Ha seguìto da vicino la scelta di quattro sorelle minori cappuccine che avevano individuato nell’Eremo di San Michele Arcangelo a Salvarano un luogo di preghiera, di accoglienza e di incontri rivolti a persone in cerca di chiarezza e di autenticità in una società che stava allontanandosi dai valori tradizionali. Ha preso pure in considerazione l’idea nata in un gruppo di preti giovani che si trovavano mensilmente per pregare e parlare di argomenti pastorali circa l’utilità di un Sinodo diocesano.
La nascita di un gruppo missionario attorno alla figura di don Lorenzo Braglia nel 1965 ha trovato in monsignor Baroni l’attenzione perché era un primo tentativo di istaurare un rapporto nuovo con i paesi in missione e che lui ha saputo portare allo stato attuale.
Di fronte a un episcopato così attivo non sono mancate difficoltà e prove sorte all’interno della diocesi e “oltre” ma monsignor Baroni non ha mai indietreggiato, anche se a volte si sfogava usando soprattutto parole ed espressioni dialettali bolognesi.
Gianni Manfredini