Il conflitto israelo-palestinese? “A mio parere non c’è soluzione”. È partito da un’affermazione apparentemente senza speranza don Giuseppe Dossetti junior, nella conversazione “Terra Santa, luogo di grazia e di dolore” promossa dall’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (UCID) l’8 febbraio scorso nel salone della chiesa di Gesù Buon Pastore a Reggio Emilia e ampiamente partecipata da un pubblico che è intervenuto con commenti e domande. Don Giuseppe, profondo conoscitore dei luoghi santi, anima gemellaggi e pellegrinaggi fin dal 1978, con la volontà già annunciata di partire di nuovo nel prossimo mese di marzo.
Dopo l’introduzione del presidente dell’UCID reggiana Fabio Storchi e l’incipit sconsolante già riferito, don Dossetti ha aggiunto che teme che la formula “Due popoli, due Stati” venga usata da tutti ma nell’intima consapevolezza che non sia praticabile.
Il motivo è che uno Stato palestinese non può avere le caratteristiche statuali, prima tra tutte la continuità territoriale: in mezzo ai territori occupati nel 1967 (al nord la Samaria e al sud la Giudea) esiste una strozzatura, tra Gerusalemme e Gerico, che conta ben 250 insediamenti israeliani; i coloni sono armati e il ritmo di costruzione delle loro abitazioni è aumentato vertiginosamente dopo il 7 ottobre 2023; si tratta di insediamenti abusivi per la stessa corte suprema israeliana, però si sa, che qualora Israele volesse sgomberarli, si aprirebbe una guerra civile, con gli occupanti che sparerebbero sulle truppe del proprio Stato.
Dopo lo scellerato attacco di Hamas l’odio è cresciuto e i palestinesi che vivono nei territori sono sottoposti alle regole dell’occupazione militare, soggetti a continui posti di blocco e perfino ad arbitrari arresti “amministrativi”.
Ma la vera ragione per cui la formula dei due Stati non può realizzarsi, secondo don Giuseppe, va al di là della politica ed è di carattere spirituale: non c’è un riconoscimento reciproco. Gli estremisti delle due parti si negano il diritto all’esistenza: nello statuto di Hamas è scritto l’obiettivo di buttare gli ebrei a mare e d’altro canto gli estremisti ebrei vogliono ripulire la terra al di qua del Giordano da tutti gli arabi mandandoli in Giordania o in Egitto, in una riedizione di quanto accadde nel 1948 quando dalla guerra nacque lo Stato di Israele, con centinaia di migliaia di palestinesi che furono cacciati e dopo svariate peregrinazioni finirono in Libano.
Cosa possiamo fare, come cristiani? Oltre a partecipare attivamente agli aiuti materiali – domenica 18 febbraio si è tenuta la colletta nazionale indetta dalla Presidenza della CEI – è importante che proprio noi riconosciamo a entrambe le parti in conflitto il diritto all’esistenza. In questo senso, la strada privilegiata è il pellegrinaggio, che ci fa accorgere di quanto sia errata l’equazione superficiale così radicata in Occidente secondo la quale arabo vuol dire musulmano e musulmano significa terrorista.
Invece andando fisicamente in Terra Santa incontriamo sia i fratelli nella fede, gli arabi cristiani discendenti della prima Chiesa, che hanno resistito all’islamizzazione, che i nostri fratelli maggiori, gli ebrei. Certo, ha detto ancora il presbitero, addolora vedere come la grande tradizione spirituale ebraica si sia incagliata in una logica di prepotenza e in una politica di “apartheid”, dove un popolo è oppresso e impedito di svolgere le attività normali della vita.
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, prima di Natale aveva dichiarato: “Ho notato che soprattutto nel mondo occidentale la società si è divisa tra chi è a favore di Israele e contro la Palestina, e viceversa. Non abbiamo bisogno che voi facciate questo… schierarsi pro o contro Israele o Palestina lo facciamo noi qui. Abbiamo bisogno invece che ci aiutiate a usare un linguaggio diverso, ci aiutiate a uscire da questa follia nella quale ci troviamo. Dovete essere diversi rispetto a noi”.
Ecco, il modo di essere diversi passa dalla fede, dalla capacità di mediazione, dal reciproco riconoscimento del diritto a esistere e forse, domani, a vivere in pace.
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