L’inferno è più bello: è stato quello che ho pensato quando sono stato a visitare una zona di una delle sette comunità della parrocchia di San Vincenzi di Paolo, nel quartiere Compensa di Manaus. Sono due settimane che sto organizzando questa visita. Ho chiesto a Flavia, una catechista che abita nella biaxada di San Pietro – è questo il nome della favela che ho visitato – di entrare in contatto con uno di quelli che contano nella favela per darmi la possibilità di visitare la zona. Questa è la situazione: nessuno entra senza permesso, nemmeno il prete.
La favela è considerata zona rossa di Manaus, per via dei trafficanti che controllano la zona. La situazione si è aggravata negli ultimi mesi, perché c’è un nuovo gruppo che è entrato nella favela e sta contendendo lo spazio a quello che c’era già. La tensione che si è venuta a creare si vive quotidianamente. L’altra sera, durante il consiglio pastorale in una delle due comunità che vivono vicino alla favela, a un certo punto è avvenuta una sparatoria, un regolamento di conti, che ha provocato la paura tra le persone presenti.
Abbiamo visitato una parte della favela per capire che cosa fare e se è possibile fare qualcosa. Si respira un senso di abbandono allucinante. Qui il comune non entra, per cui acqua e luce arrivano per dei sotterfugi organizzati dagli abitanti. Le costruzioni sono tutte abusive, oltre ad essere fatiscenti. Ci sono tantissimi bambini e adolescenti. La favela è sorta con la costruzione abusiva di abitazioni di coloro che arrivavano dai villaggi della foresta amazzonica, in cerca della città con il mito di vivere meglio, avere più possibilità. In realtà, che arriva in queste baracche viene a stare molto peggio.
La droga è il pane quotidiano. Uno potrebbe dire: ma se non hanno nemmeno gli occhi per piangere perché la droga e come fanno a comprarsela? La domanda dovrebbe essere posta più a monte e cioè: a che cosa serve la droga? Serve per dimenticare, per trascorrere qualche istante in pace. I ricchi si drogano per riempire un vuoto, perché non sanno che cosa fare, mentre i poveri si drogano per cercare di diminuire il dolore esistenziale, per dimenticare, anche solo per qualche momento. Poi inizia l’inferno, dovuto all’impossibilità di pagare la merce, l’entrata nel giro dei trafficanti, il coinvolgimento dei familiari. Il giorno dopo la sparatoria vari corpi sono stati trovati nei cespugli dei dintorni della favela, di gente che non riusciva a pagare i trafficanti locali. Qui nessuno entra, né il comune, né la polizia: i conti se li regolano tra di loro.
Dal punto di vista religioso la stragrande maggioranza delle persone che abitano nella favela sono evangelici. Qui si tocca con mano un vecchio discorso e cioè della religione come una droga, con la differenza che, mentre la droga arriva ad ammazzare, la religione venduta dagli pseudo pastori neopentecostali conduce fuori dalla realtà. Questi falsi pastori, veri e propri mercenari, attaccati ai soldi in modo allucinante, assicurano ai poveri malcapitati un pezzettino di paradiso in cambio di una tassa mensile.
Fanno leva, infatti, su coloro che ricevano benefici dal governo: pensionati, persone con deficienza fisica, famiglie povere che ricevono un sussidio dal governo. Più sono povere, più le persone si affidano ai mercenari di Dio, a pseudo pastori senza scrupoli che, come gli avvoltoi, si nutrono della carne dei poveri malcapitati. I disperati non ascoltano discorsi teologici raffinati, ma si affidano alle promesse di un futuro glorioso. Probabilmente sanno che è tutto falso, ma che cosa importa! Un po’ di consolazione illusoria può servire per andare avanti in mezzo allo schifo della vita presente.
Abbiamo girato una parte della favela con la scusa di trovare un posto per celebrare una messa fra qualche domenica. In realtà, cercavo di vedere con i miei occhi il dramma della miseria umana, sin dove può arrivare il degrado umano, per capire che cosa si possa fare o se si possa davvero fare qualcosa, con la consapevolezza che dagli abitanti del posto non arriverà mai nessuna richiesta di aiuto.
Il dato più allucinante è che a soli sei km di distanza c’è il quartiere di lusso Ponta Negra, con palazzi ed edifici da far invidia a Toronto. Tanta disuguaglianza in pochi metri. Forse fra qualche mese andrò a trovare anche loro.
Paolo Cugini