Rombo di tuono sembra essere il nome di un super eroe, e lui eroe lo era diventato per davvero per un’intera città, Cagliari, quando con la maglia rossoblù vinse quello scudetto leggendario del 1970.
E Gigi Riva dell’eroe non aveva solo il nomignolo, ma anche il fisico: era una sorta di Superman dell’area di rigore con un sinistro dalla potenza inaudita. Non aveva la S sul petto, ma l’11 sulla schiena.
Divenne eroe quando rifiutò la corte e i quattrini delle grandi squadre del nord scegliendo di rimanere nel Cagliari. La Juve lo corteggiò in ogni modo ma lui scelse la Sardegna e la gloria di legare il suo nome a questa terra.
Calcio fatto di uomini con la U maiuscola. Calcio fatto di campioni. Un calcio romantico, di altri tempi in cui oltre al pallone esistevano ideali e valori.
Un calcio che non esiste più e che nella serata del 22 gennaio saluta un’altra leggenda, entrata di diritto nell’Olimpo degli dei del pallone, quelli in grado di scrivere la storia del calcio. E Gigi Riva la storia l’ha scritta con le tinte azzurre della nazionale, prima come bomber e poi come team manager.
Sempre posato, elegante, nella delegazione della nazionale maggiore ci è rimasto 25 anni. Era il “papà” di tanti calciatori alla ricerca di un consiglio, di un rimbrotto, di un’attenzione. E Gigi c’era…
Così come c’era in quel leggendario Mondiale in Messico nel 1970, quello della partita del secolo: Italia-Germania 4 a 3 con Gigi Riva che mise a segno una doppietta.
Suo il record di marcature in nazionale: 35 centri in 42 partite.
In tanti dicono che il male di questo gioco sia quello di non essere gestito da gente che di calcio ne sa sul serio: accade tra i dilettanti e ahimè accade anche nei professionisti, in cui troppo spesso faccendieri e finanzieri decidono le sorti di uno sport che invece dovrebbe essere gestito da chi ne conosce segreti, difetti e potenzialità. E Riva lo sapeva.
Poteva essere uno che a questo sport avrebbe fatto sicuramente bene ma come capita qui da noi, gli ex campioni sono troppo scomodi e perciò vanno tenuti lontani dalla stanza dei bottoni.
Non l’ho mai visto giocare ma a lui sono legato da due ricordi. Il primo mi ricorda mia nonna che diceva che Gigi Riva era il suo calciatore preferito perché aveva delle belle gambe.
Il secondo, invece, è quell’abbraccio a Roby Baggio nel mondiale americano del 1994 quando il Codino nazionale, dopo una strepitosa doppietta che ci portò in finale, scoppiò a piangere tra l’emozione di avercela fatta e la paura per un infortunio che ne avrebbe pregiudicato la finale.
Ed è sempre Gigi Riva a consolare il 10 azzurro dopo quel rigore tirato lassù, in cielo.
E in quell’abbraccio ho rivisto quello di un padre a un figlio ancora incapace di rendersi conto di ciò che ha fatto e impaurito per quello che potrà accadere.
E lui c’era per ogni ragazzo che attraversasse un brutto momento: come con Di Biagio dopo il rigore sbagliato a Francia 98 o insieme alla nazionale campione del mondo del 2006, attraversata da tutte le polemiche e le tensioni dovute a Calciopoli ma che, anche grazie a Riva, si compattò e conquistò il titolo di campioni del mondo.
Anche questo fa parte degli eroi; consolare ed esserci sempre e comunque. Anche se si tratta di un pallone.
Gli eroi non muoiono mai perché entrano nella leggenda dove ci saranno per sempre.