Abbiamo lasciato Eugene Smith nel 1954 a sbattere la porta in faccia al settimanale Life. Era stato chiamato, prima della pubblicazione del servizio sull’ospedale/villaggio allestito dal premio Nobel per la pace Albert Schweitzer a Lambarené, in Gabon, a visionare le foto scelte e sulla loro impaginazione e non era assolutamente d’accordo.
Il suo rapporto con i direttori e con i grafici delle riviste era sempre stato, e lo sarà durante tutta la sua vita professionale, così, tremendamente conflittuale.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale aveva realizzato servizi che, ancora oggi, vengono presi ad esempio nelle scuole dove si insegna come si costruisce un reportage. Un esempio per tutti è “Country Doctor” del settembre del 1948, dove segue per settimane Ernest Ceriani, medico condotto a Kremming un piccolo paese del Colorado.
Nel maggio del 1950 viene inviato nella Spagna franchista. La politica americana, nonostante criticasse quel regime fascistoide, sotto sotto cercava alleati affidabili in quella che stava diventando sempre più la ‘Guerra fredda’ con il blocco sovietico e simpatizzava con il Generalissimo, anti-comunista dichiarato. Il giornale voleva un servizio che mostrasse una Spagna tutt’altro che demoniaca. Il reportage venne pubblicato su Life, 17 fotografie, il 9 aprile del 1951, rendendo Smith nuovamente famoso in tutto il mondo.
Ecco cosa scrive tuttavia alla famiglia appena terminato il lavoro e prima della sua pubblicazione: “Il servizio sulla Spagna è abbastanza mediocre, tu non ci crederai ma una delle ragioni principali è che finora ho tentato con tutte le mie forze di essere assolutamente giusto, così che quando lui urlerà la verità lo ferisca, può anche urlare ma non ha modo di confutarmi… A Life il servizio probabilmente piacerà e a seconda della politica che essi seguono attualmente è possibile che finisca per essere considerato come una buona scusa per un prestito alla Spagna. Questa sarebbe una tale beffa da portare alle mie dimissioni… La serie completa di fotografie è stata accolta come classica, grande, meravigliosa oltre ogni aspettativa. Ma io so cosa le fotografie avrebbero dovuto mostrare per interpretare veramente la Spagna. Contrassegnerò questo come uno dei miei peggiori fallimenti”.
Sempre nel 1951 esce, sempre su Life, “Nurse Midwife”, trenta fotografie – definite da Smith “le più gratificanti di tutto il [suo] lavoro” – che raccontano la storia di Maude Callen, un’infermiera ostetrica che operava nella zona più povera della Carolina del Sud. L’uscita del servizio suscita grande commozione, tanto che i lettori doneranno più di 20.000 dollari con i quali, due anni dopo, verrà inaugurata una clinica che ancora oggi, anche se fatiscente e non più operativa, porta il nome dell’ostetrica.
Fra la fine dell’anno e l’inizio del 1952 Smith lavora per cinque settimane a un servizio su Charlie Chaplin sul set di “Limelight” (Luci della ribalta) – anche qui entrò in conflitto con la forte personalità del regista – e l’anno successivo a “The Reign of Chemistry”, dove realizza fotografie perfette per fornire un’immagine estetizzante di un’industria, la Monsanto Chemical Co., che di bello aveva solo quello che si può immaginare abbia una industria chimica. Diversi altri incarichi gli vengono assegnati, ma non vengono pubblicati.
La potente rivista Life se lo poteva permettere.
Il 21 settembre del 1953 Smith scrive a Schweitzer, che gli risponde nel febbraio 1954: “Venga in Africa, può fotografare quello che vuole, ma non le è permesso girare un film”. Parte poco dopo, come al solito nervoso, e alla dogana si mette a litigare: aveva 50 colli di bagaglio.
Dopo tre settimane di lavoro è più scoraggiato del solito, non riesce a costruire la storia come vorrebbe e passa una notte scrivere a Schweitzer di essere disposto ad andarsene: “…tutto questo mi spinge a cercare nel mio lavoro una perfezione irraggiungibile e per me la perfezione è qualcosa di più grande di una perfezione artistica e tecnica perché è anche perfezione morale. E la perfezione morale è più grande del bene non intaccato dal male, la perfezione morale è più di un semplice bene, deve essere una forza positiva. Non parlo in termini di successo perché il successo si ottiene troppo facilmente, i suoi valori sono pagani”.
Rientra dal Gabon nella tarda primavera del 1954! Mentre era a Lambareré la sua amante Margery Lewis gli scrive che è incinta; il figlio, Kevin Eugene Smith, nascerà il 5 luglio 1954. Smith padre ci mette mesi a riordinare i negativi, a stampare provini, a scegliere le stampe ed impaginarle per la pubblicazione da proporre alla redazione. Lo stesso Henry Luce, il proprietario di Life, cerca di convincerlo che le sue condizioni sono inaccettabili, ma quando gli mostrano l’impaginato del suo servizio lui lo prende, lo getta nel cestino e se ne va sbattendo la porta, come dicevamo più sopra. Il servizio uscì comunque il 15 novembre 1954 sotto il titolo: “Uomo di misericordia”.
“Due volte nella polvere, due volte sull’altar” recita il 5 maggio del Manzoni… Smith nella polvere ci era già finito più volte, ma con quella porta sbattuta la polvere gli arriva quasi alla gola, per lo stipendio che viene a mancare mentre le spese sono sempre quelle. Nell’aprile dell’anno dopo si associa all’Agenzia Magnum, Capa, Cartier-Bresson, Rodger e gli altri soci conoscono bene il suo lavoro e cercano di dargli, a suon di prestiti, una mano.
Sempre in quei mesi conosce Stefan Lorant, giornalista ungherese, che gli parla di un progetto su Pittsburgh, la città dell’acciaio. Avrebbe dovuto uscire un libro, alla fine del 1956, per celebrare il centenario della città. Il progetto si propone di realizzare un ritratto fotografico della moderna Pittsburgh, cinque settimane di lavoro per produrre 100 fotografie, compenso 2.500 dollari e Smith accetta. Dopo le settimane di lavoro, il 20 maggio 1955, Smith esce per scattare alcune immagini lasciando aperte le portiere dell’auto. Un ladro gli ruba 5 macchine fotografiche, dieci obiettivi e circa 150 pellicole 35 mm. alcune sviluppate e altre non ancora.
Le attrezzature riesce a recuperarle, ma i rulli, finiti nella spazzatura, no, e il lavoro deve ripartire praticamente da zero!
La situazione finanziaria della famiglia Smith è catastrofica: la buca delle lettere è piena zeppa di conti da pagare e Lorant non scuce un dollaro, perché non riceve le fotografie. John Morris, direttore amministrativo della Magnum, si recò, in quel periodo personalmente, a Croton-on-Hudson a un’ora da New York, la famiglia si era trasferita lì da tempo. Accorgendosi che nel giorno del Ringraziamento gli Smith non si potevano permettere una vera e propria cena, usci e procurò il cibo per tutti (in casa erano in sei). In un’altra occasione, nel Natale del 1956, sempre Morris, raccontò: “Non avevano niente da mangiare, andai da casa mia fino a Croton portando tutto il necessario per una cena natalizia”.
Diventa sempre più chiaro che il lavoro come lo intendeva Lorant non andrà mai in porto. La Magnum cerca di vendere il reportage a Look, compenso 20.000 dollari. Look accetta solo, conoscendo Smith, se ad impaginarlo sono i suoi grafici; lui risponde picche, come sempre, e anche Lorant si mette di traverso dicendo che le foto decide lui come impaginarle e non se ne fa niente.
Eugene continua imperterrito a scattare immagini e nell’estate del 1957 propone una sua impaginazione (40 pagine) a Edward Thompson allora direttore di Life. Gliene propongono 13 a mille dollari a pagina, meno di Look, ma sempre un bel gruzzolo. Smith lo scorre nell’ufficio di Thompson che gli chiede: “Sei contento adesso?”; Smith se ne va senza dire una parola e il servizio non esce.
Eugene si ritira in una grande soffitta al numero 821 della sesta strada a New York. Sulla porta un cartello con l’impronta del suo pollice e la scritta: VIETATO SPERARE. Il lavoro su Pittsburgh, durato quasi 5 anni, lo pubblicherà Bruce Downes di Popular Photography sul numero annuale del 1959.
18 pagine con 90 fotografie: un vero record. Smith volle scrivere il testo e curare l’impaginazione, disinteressandosi completamente di quanto ne avrebbe ricavato.
Il Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, nel 2001, appenderà alle pareti dei suoi locali il lavoro completo, pubblicando un catalogo dal semplice titolo: “Dream Street – W. Eugene Smith Pittsburgh project”.
Nel gennaio del 1960 è contattato da un agente pubblicitario per una campagna fotografica su Hitachi, la più grande industria giapponese. Gene è incuriosito dal paese del sol levante e, dopo qualche incomprensione, il contratto viene firmato nell’agosto 1961 e parte per il Giappone con Carole Thomas, una studentessa di 17 anni, altra sua amante, che da tempo lo stava aiutando nell’impaginazione di un libro riassuntivo della sua opera da proporre al vecchio editore Ziff-Davis.
L’incarico funziona: viene pubblicato più volte in Giappone e al suo ritorno negli Stati Uniti Life gli pubblica 13 fotografie nel numero del 30 agosto 1963 col titolo “Colossus of Orient”, l’editoriale di George Hunt fu titolato “A Gene Smith: ben tornato!”.
La cosa sa un po’ di melanconia, ma gli regala un sottile piacere, anche perché in fondo quella porta non era stata mai chiusa del tutto.
Il presidente di Magnum, Cornell Capa, fratello del più famoso Robert e anche lui fotografo, propone a Smith un’ampia retrospettiva del suo lavoro al Jewish Museum di New York. Inizia a lavorarci fra mille difficoltà economiche, più tardi verrà anche sfrattato per morosità, ma soprattutto nella confusione della sua soffitta, dove a volte ci volevano giorni per trovare un negativo.
La relazione con Carole Thomas si era interrotta da tempo, ma il fascino timido, vivace e appassionato del fotografo colpisce la giovane Aileen M. Sprague, figlia di una giapponese e di un consigliere americano.
L’aveva conosciuta poco prima come interprete per una troupe televisiva giapponese che stava realizzando servizi per conto della Fuji film.
Smith le chiede di andare a vivere insieme, lei accetta coinvolta immediatamente nella preparazione della mostra, che si inaugurerà il 2 febbraio del 1971 col titolo “Let Truth Be The Prejudice”, con un successo travolgente.
Qualche mese prima lui e Aileen vengono a conoscenza delle condizioni drammatiche dell’inquinamento da mercurio, ad opera della Chisso Corporation, delle acque di fronte a Minamata. Partiranno insieme nel 1972 e la storia è ben raccontata nel film con Johnny Depp recentemente uscito, tranne la scena finale.
Nel film Eugene Smith è ferito e fasciato per i postumi delle botte prese dalla polizia, cosa realmente accaduta durante una manifestazione contro la potente ditta giapponese, che da anni versava in mare il velenoso mercurio. Con la macchina fotografica sul cavalletto scatta quella straordinaria immagine che è: “Tomoko Uemura viene lavata dalla madre”. In realtà Smith, sicuramente malconcio non solo per le botte prese, ma per una vita veramente consumata, poteva muoversi nella piccola stanza preparata per il bagno: “… cresceva in me la coscienza – scrisse tempo dopo – che il simbolo di Minamata era in fondo l’immagine di quella donna e della figlia Tomoko … così andammo – io e Aileen – e ci sedemmo e chiacchierammo un po’ … fu proprio la madre a suggerire di fare la fotografia nel bagno”.
Scattò tre fotogrammi, nell’ultimo, quello che diventerà l’icona della tragedia di Minamata, Smith si sposta a sinistra per avere la luce della finestra di fianco, non all’interno dell’immagine, con Tomoko e la madre al centro di una figura geometrica che li incornicia. Degli anni trascorsi a Minamata ne rimane un libro, stesso titolo, uscito ne 1975, espressione finale di quel genio assoluto che è stato Eugene W. Smith.
Nota: le citazioni tra virgolette sono tratte tutte da “Usate la verità come pregiudizio” (Jaca Book, 1986).