Linguaggi animali e comunicazione

Sull’argomento che Antonio Petrucci affronta in questo articolo segnaliamo anche, dello stesso autore, “Riflessioni sul linguaggio” (La Libertà del 17 febbraio 2021) e “Alcune questioni di comunicazione” (La Libertà del 29 giugno 2022).

La comunicazione umana avviene soprattutto attraverso il linguaggio verbale. Ed è il linguaggio a fare la differenza con il mondo animale. Tuttavia la comunicazione fra animali può servirci per approfondire questo tema fondamentale.

Comunicazione fra gli animali

Gli animali, per comunicare, emettono segnali sonori, ma anche segnali visivi e olfattivi. Di solito si pensa che il canto degli uccelli, il frinìo delle cicale o lo stridìo dei grilli siano espressione di uno stato d’animo. Non è così. O meglio: forse è così. Però hanno anche, oggettivamente, la funzione di comunicare. Sono richiami per le femmine o prese di possesso di un territorio e segnali di aggressività verso i maschi.
Funzione analoga hanno anche i segnali visivi o quelli olfattivi. All’epoca della riproduzione pesci e uccelli presentano colori vivacissimi che, di solito, hanno un duplice obiettivo: attrarre le femmine e allontanare i maschi (insomma “fare impressione” sulle une e sugli altri). Animali più evoluti, cani e gatti ad esempio, marcano il territorio con i feromoni ovvero con ormoni che trasmettono informazioni varie (ad esempio di “proprietà territoriale” e di disponibilità sessuale). E per finire comunicazioni di tipo molto complesso ci giungono dal mondo delle api: è noto che, variando le loro danze, esse sono in grado di comunicare la distanza, la direzione e perfino la “consistenza” del bottino.

A ben pensarci anche gli esseri umani comunicano in tutti questi modi, con le parole certo, ma anche con la mimica e la pantomimica, con segnali visivi e con segnali olfattivi. Chi va a un appuntamento importante non sceglie con cura i suoi abiti? E la pubblicità non ci ricorda continuamente che il deodorante, il dopobarba ecc. – insomma l’emissione di segnali olfattivi – sono importanti, per la donna come per l’uomo?
La differenza ovviamente è tutta nella libertà: l’uomo – animale culturale – può scegliere, secondo i suoi gusti e la sua personalità, i colori e i profumi. L’animale che agisce per istinto non può. È la natura che sceglie per lui.

Il linguaggio dei gesti

Una forma di comunicazione “spontanea” (che accompagna ma a volte anche sostituisce il linguaggio) è la mimica cioè la capacità di mutare espressione (storcendo la bocca, arricciando il naso, aggrottando le sopracciglia ecc.). In tal modo è possibile esprimere emozioni fondamentali come sono la rabbia, lo spavento, l’interesse per una persona…
La mimica si limita al volto. La pantomimica, come dice la parola, riguarda tutto il corpo. Tutti sanno, ad esempio, che le braccia incrociate davanti all’interlocutore rivelano scarsa disponibilità all’ascolto o “resistenza” di fronte a quello che l’interlocutore sta dicendo.

Alcuni gesti, probabilmente spontanei all’inizio, sono diventati “convenzionali” e cioè hanno acquisito un determinato significato (che è quello e non può più essere confuso con altri): ad esempio il dito sulla bocca, a significare “silenzio”, o il dito girato sulla gota, per esprimere la bontà d’un cibo…
Si deve infine ricordare che esistono forme di linguaggio gestuale talmente complesse (il linguaggio dei sordomuti ad es.) da assumere tutti i “valori d’uso” del linguaggio verbale.

Una particolare forma
di comunicazione: il sorriso

Una forma di comunicazione – limitata agli esseri umani – è il sorriso. Gli animali non sorridono. Il sorriso – come la parola – è caratteristico della nostra specie.
È quasi superfluo ricordare quanto sia rapida, efficace, significativa questa forma di comunicazione nei rapporti umani; quante cose semplifichi, quante parole faccia risparmiare.
I bambini cominciano a sorridere verso il terzo mese di vita. Sorridono non alla madre, ma al volto umano, a qualunque volto umano, purché si presenti frontalmente e in movimento. Sorridono perfino a una maschera, purché la maschera rispetti i caratteri fondamentali del volto umano (occhi, naso, bocca al posto giusto). (Esperimenti di Spitz)

A quella età i bambini non riconoscono nel volto un oggetto, cioè qualcosa che esiste di per sé, autonomamente, ma solo un segnale, un segnale positivo perché l’apparizione del volto precede la cessazione del disagio o l’arrivo del benessere. Però il fatto che l’adulto, in genere, creda diversamente, finisce per svolgere una funzione positiva. Innesta, infatti, nell’adulto, un feed-back, una risposta che, a sua volta, promuove altri segnali da parte del neonato. La comunicazione iniziale così si trasforma – un po’ alla volta – in un dialogo.

Qualcosa del genere accade con le prime parole pronunciate dai bambini. Un fonema, o meglio ancora una lallazione (cioè un fonema ripetuto) ha all’inizio valore di gioco, da parte del bambino, ma provoca un feed-back da parte dell’adulto che “rafforza” il fonema e, in genere, lo “scambio di informazioni”. Assistiamo così, quasi senza rendercene conto, alla nascita del linguaggio verbale.

Linguaggio e metalinguaggio

Siamo così tornati al linguaggio. Può essere “rinforzato” dalla voce, dalla mimica ecc., ma può anche “agire”, cioè esercitare i suoi effetti, da solo. Ad es. il linguaggio scritto è “nudo” rispetto a quello “parlato”. Perciò gli si chiede una maggiore precisione.
Oltre a un generico valore “evocativo” – il linguaggio verbale fa “apparire” le cose in loro assenza – si possono distinguere le seguenti funzioni d’uso: la funzione pragmatica o operativa serve a scopi pratici e spesso immediati (ad esempio prendere un appuntamento); la funzione culturale serve a trasmettere informazioni (ad es. raccontare una storia); la funzione argomentativa serve a fare un ragionamento (di logica o di matematica).

Non si può infine dimenticare l’uso metalinguistico del linguaggio e cioè il fatto che il linguaggio verbale è l’unica forma di comunicazione che ci consente di riflettere sulla comunicazione.
Forse è proprio questa, la funzione metalinguistica, a “chiudere il cerchio”.
Non siamo solo “l’animale che parla”; siamo anche l’animale che è in grado di studiare la parola.

Antonio Petrucci

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