Dopo aver fatto le spese di Natale in paese, Tommaso si avviò con la sua utilitaria verso casa.
La strada era stata sgombrata dalla neve e l’auto procedeva senza troppe difficoltà. Allora Tommaso pensò di passare dalla sua vecchia casa natale, pur sapendo di allungare il tempo del ritorno.
Era tanto tempo che non passava da quel luogo; gli era stato detto che una parte di quel vecchio complesso rurale abbandonato stava crollando. A metà mattinata era anche comparso il sole e l’atmosfera, dopo la nevicata notturna, era tersa. Prima ancora di arrivare nel cortile del casolare riconobbe l’inconfondibile finestra di colore grigio, della sua camera, con il foro fatto dal picchio nella parte superiore.
Sul viottolo, leggermente in discesa, la neve era ancora intatta, e procedendo lentamente si accorse della presenza di orme da poco lasciate sulla coltre nevosa fresca.
Passò davanti alla porta morta e vide che effettivamente lì, come gli era stato detto, il tetto era crollato.
Proseguì per fare manovra sull’aia; svoltò indietro e si fermò contro il piccolo fabbricato del forno.
Lì le orme scomparivano.
Scese dall’auto e la neve gelata scrocchiò sotto i suoi scarponi.
Si girò intorno, verso la finestra della cucina, la camera dei genitori, la stalla, il fienile e si ricordò i salti che da bambino faceva lassù sul fieno.
Abbassò la testa e gettò lo sguardo sotto al forno da dove gli era sembrato provenissero dei rumori.
Si accostò per osservare meglio e con grande sorpresa vide la sagoma di un uomo.
“Ehi! Cosa fai lì?” chiese ad alta voce Tommaso.
L’uomo allora faticosamente alzò la testa e lentamente, aiutandosi con i gomiti per sfilarsi da quell’augusto locale, si mise seduto sotto la bocca del forno stropicciandosi gli occhi.
Era giovane, scarno e pallido.
“Come sei finito qui?” riprese Tommaso.
Il giovane lo guardò per un attimo poi abbassò gli occhi, ma dentro di sé sentiva che poteva fidarsi di quell’uomo dal viso bruciato dal sole e dalle mani callose.
Il forestiero cominciò a raccontare senza indugio la sua breve e tribolata esperienza di vita, dall’allontanamento dalla casa paterna, le compagnie sbagliate, la droga, la solitudine, la speranza persa di uscire da quel vicolo cieco.
Tommaso ascoltò in piedi con crescente attenzione ed alla fine del racconto fu preso dalla commozione.
“Come ti chiami?” chiese al giovane.
“Martino” – “Bel nome. Sai chi era Martino?”
“No” – “Martino era un cavaliere, un santo cavaliere, chissà se un giorno anche tu…” Tommaso aprì la portiera dell’auto. “Dai, sali che andiamo a casa” – “Dove?” -“A casa mia. Natale quest’anno lo farai con noi. Mi darai una mano nella stalla e nei lavori di casa”- “Ma…” – “Imparerai, imparerai…” concluse Tommaso mettendo in moto la macchina.
Durante il tragitto di ritorno Tommaso a sua volta raccontò a Martino la storia della sua turbolenta giovinezza, che aveva molti punti in comune con quella del giovane.
Fermò l’auto davanti al portico dove i suoi figli stavano spalando la neve. Con grande meraviglia si accorsero del forestiero e lo salutarono.
Martino scese per primo seguendo con lo sguardo quello che stavano facendo i due ragazzi.
Tommaso a sua volta osservò il giovane, prese un’altra pala e gliela mise fra le mani. Con le poche forze che ancora aveva l’ospite prese l’attrezzo e ripetendo gli stessi gesti si mise dietro ai due figli di Tommaso.
In quel momento Martino capì che quello che stava per arrivare sarebbe stato un Natale diverso e che forse la sua vita stava per cambiare.
Giuliano Lusetti