Termini… inclusivi

Gentile Direttore, il Comune di Bologna ha emesso un manuale di ben 53 pagine per “includere in modo ampio i generi e tutte le diversità”. In pratica si chiede di usare un linguaggio scritto cosiddetto inclusivo (termine che oggi va di moda). Tra gli obiettivi, sottolinea la vicesindaca Emily Clancy, c’è quello di evitare l’utilizzo della parola “uomo” per indicare tutti gli esseri umani, della sola forma grammaticale maschile per rivolgersi a una collettività di non soli uomini. Vuoi parlare dei diritti dell’uomo? Allora è meglio dire “i diritti umani”. Vuoi parlare di popoli e categorie? Allora evita il maschile neutro: “gli inglesi” diventa “il popolo inglese”; “i commercianti” diventa “commercianti” senza l’articolo. Fino a qui nulla di stravagante.

Ma la novità (!) sarebbe l’utilizzo di schwa (ə) e asterisco: no a “gentilissimo cittadino”, sì a “gentilissimə cittadinə” oppure “gentilissim* cittadin*”. Il tutto per rispettare un genere neutro che includa le persone non binarie o che si identificano con generi al di fuori del maschile e femminile (?). Lo “schwa” (non sappiamo se la parolina sia maschile o femminile !), che è una specie di “e” rovesciata è stato/stata bocciata sonoramente dall’Accademia della Crusca per gli atti giudiziari e per l’utilizzo corretto della lingua italiana, una delle più belle e complete. Chissà cosa direbbe il sommo poeta Dante che delle parole era maestro e che non ha fatto sentire discriminato nessuno/nessuna.

Gabriele Soliani

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