Chi tra tutti coloro che giocano a calcio non han mai sentito parlare di sogni? E chi ad un certo punto si è anche stufato di parole su parole sui sogni etc… senza mai avere la briciola di mezza soddisfazione, liquidando il tutto dicendo “Sono solo parole?”
Direi la quasi totalità dei praticanti. Quindi farei a meno di lanciare un sondaggio su quante parole ognuno si è sentito dire lungo il percorso calcistico.
Per fortuna che a volte la realtà smentisce la disillusione creata dalle chiacchiere. Vero che la statistica gioca contro, ma è altrettanto vero che lo scorso 5 novembre un ragazzo di appena 20 anni ha realizzato il suo sogno: segnare in serie A dopo aver fatto tutta la trafila, dai Pulcini alla prima squadra, con la maglia bianconera della Juve addosso.
È la favola, pardon, la realtà di Fabio Miretti che al decimo minuto di Fiorentina-Juve, e dopo 56 presenze con la Signora, ha segnato il primo gol in serie A. Non un caso per questo centrocampista col vizio della rete che con le giovanili ha sempre segnato caterve di gol.
Sì, vabbè, verrebbe da obiettare, Miretti è quell’uno su mille che ce la fa. Così come, parlando sempre di Juve, ce la fece quel terzinaccio di Moreno Torricelli pescato dall’Eccellenza e colonna portante dei trionfi bianconeri della Juve targata Lippi.
E tutti gli altri? Molto probabilmente saranno dispersi nel mare del calcio dilettantistico con carriere più o meno fortunate. Magari col rimpianto di aver giocato con Miretti. Poi per sfortuna, per un infortunio, per un allenatore, per un dirigente o per una congiunzione astrale sfavorevole, la loro carriera da pro non è mai decollata. O magari, semplicemente, mancava quel qualcosa per riuscire a farcela e parlo di qualità, non certo della mancanza di un valido procuratore.
Ma tornando al centrocampista juventino, è bello vedere come i sogni possano realizzarsi. E questa storia fa sicuramente bene a tutti quegli allenatori che davanti a eserciti di piccoli e piccolissimi calciatori possono finalmente raccontare con un esempio reale che certi desideri non sono miraggi bensì certezze.
Spesso ci si concentra molto su tanti aspetti. fisico, tecnico, tattico, dimenticando quello più importante: l’emozione. È l’aspetto emozionale che va allenato.
È quel sentirsi parte di un sogno che alimenta la fantasia di tanti ragazzi che ogni domenica solcano i campetti polverosi delle categorie più basse. In questo credere di farcela non conta si è tutti uguali. Nella voglia di scendere in campo non c’è mai distinzione tra serie A e Pulcini. È la stessa cosa!
Si vedono tanti ragazzi che scendono in campo con la faccia tesa, triste, preoccupata… eppure vanno “solo” a giocare una partita.
Chissà cosa gira in quella testolina: la pressione degli amici sulle tribune arrugginite, il papà (in)competente pronto a fare l’analisi del post-gara, il dover far risultato a tutti i costi, la preoccupazione di sentire i commenti dei pensionati accorsi al campo a sputare sentenze… o peggio ancora le grida disumane del mister.
Invece le emozioni vanno gustate fino in fondo.
L’insonnia della sera prima di un provino… la caviglia acciaccata che preoccupa ma la voglia di giocare è più forte… la tremarella prima di scendere in campo con tanti altri ragazzi sperando di essere scelti… la voglia di spaccare il mondo che fa a pugni con la paura di sbagliare… e poi appare lui, il pallone. E così tutto svanisce e a prescindere dalla categoria ci sentiamo tutti dei Miretti all’inseguimento del sogno di essere felici, gonfiare la rete e tornare a casa soddisfatti di aver fatto la cosa più bella del mondo.