I migranti italiani in una docufiction

Nel mosaico di pezzi che contribuiscono a costruire l’identità italiana mettiamo mare, sole, cucina, storia, patrimonio artistico-culturale e il calcio. è l’amore per questo sport naturalmente inclusivo, trasversale e unificante a dare l’abbrivio a un mediometraggio, per la regia di Fabio Bottani, che riporta in luce una vicenda storica dimenticata, di lontananza, appartenenza e gioia. Realizzato nel quadro di Esch 2022, Capitale europea della Cultura, e prodotto da Passaparola Asbl, “L’Arrivée de la Jeunesse” è una docufiction sulla storia degli italiani in Lussemburgo, produzione senza precedenti che analizza il fenomeno migratorio italiano, dal suo sviluppo alla fine del XIX secolo fino ai giorni nostri, nel Granducato.

L’allontanamento dall’Italia

Qual è stata la spinta iniziale che lo ha determinato, con quali stati d’animo i nostri connazionali si allontanavano dalla famiglia o la portavano con sé, attraverso quali scenari hanno insediato le loro comunità in una terra straniera, che li guardava con un misto di tenerezza e sospetto, e ancora il sentimento della nostalgia e la speranza, necessaria a sopravvivere alle due Guerre, combattere nella Resistenza, affrontare la deportazione, la morte dei propri cari, con coraggio e senso di riscatto. Vediamo scorrere il racconto commosso di cinque generazioni, aperto da Mario (Antonio Spagnuolo), capofamiglia minatore emigrato nel 1909, e concluso da Anita (Julie Kieffer), che insegna lussemburghese ai nuovi immigrati. Ad aprire e chiudere il cerchio, la squadra di calcio Jeunesse di Esch-sur-Alzette, in gran parte composta da italiani, “figli della miniera”.

Liberamente ispirato al libro “Tanti italiani fa… in Lussemburgo” di Remo Ceccarelli (PassaParola Editions), il film alterna fiction a parti documentarie fornite dal materiale d’archivio di Centro Nazionale Audiovisivo e Centro di Documentazione sulle Migrazioni Umane di Dudelange. Molto spazio è riservato alle miniere, i cui resoconti non sono tanto improntati al sacrificio, c’è da dire, quanto al senso di opportunità che trasmettono agli operai e alle loro famiglie. Questo avviene grazie a Fabio Restelli autore della sceneggiatura e Marcello Merletto, direttore della fotografia.

Vediamo alcune buone intuizioni, come il racconto palpitante di Gilda, giovane indomita che decide di lasciare la famiglia e partire, ignara del proprio destino. O lo stesso Mario, umano, empatico, a cui viene affidata una delle frasi più belle: “I confini volevano dire poco. Quello con la Francia era una staccionata di legno e io mi chiedo a cosa serve il confine quando hai la miniera che ci passa sotto. Qui sono tutte gallerie, quelle vanno dove va il ferro. Che sia Francia o Gran Ducato, poco cambia”. Per la prima volta sul grande schermo questa storia di immigrazione italiana voluta e prodotta da Maria Grazia Galati e Paola Cairo.

Lara Maria Ferrari

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