Pubblichiamo il testo dell’omelia tenuta dall’Arcivescovo Giacomo Morandi nella Basilica della Ghiara in occasione della festa della Natività della Beata Vergine Maria venerdì 8 settembre scorso. Su La Libertà online si trovano tutte le foto della celebrazione e anche il video integrale (La Libertà Tv) curato dal Centro Diocesano Comunicazioni Sociali.
La liturgia della Parola di questa festa della Natività di Maria Vergine ancora una volta ci immerge nel grande disegno della storia della salvezza, attraverso una sequenza ordinata, scandita di generazioni, in cui l’evangelista Matteo ci consegna i nomi di uomini e donne che sono stati inseriti con precisione. Una sequenza di nomi che ci sovrasta e in parte ci lascia forse un po’ indifferenti, rispetto ad altre pagine del Vangelo.
L’intento è quello di narrare una storia che solo in apparenza può sembrare la conseguenza dell’intreccio casuale di incontri e volontà umane. Quante volte anche noi siamo tentati di indulgere a una tale interpretazione, usando espressioni come destino, fortuna, fatalità, circostanze casuali e fortuite. Facciamo fatica a scorgere un progetto, un’intenzionalità e ancor più una regìa dei fatti e degli avvenimenti, che ci coinvolgono sia come persone singole, sia come comunità civile e religiosa.
A volte questo atteggiamento trova espressione anche nei detti popolari a cui ricorriamo quando non abbiamo nulla da dire e siamo in imbarazzo: “È una ruota che gira!”;“È la vita!”; “Ogni giorno ce n’è una!”. Siamo tentati di banalizzare, di non affrontare: “Hodie mihi, cras tibi” veniva scritto sui catafalchi: “Oggi a me, domani a te”.
In realtà l’evangelista Matteo ci dice che la storia è guidata sapientemente da Dio: l’alternarsi preciso delle generazioni (quattordici) vuole infondere la certezza che nulla è lasciato al caso, che non esistono coincidenze ma – se vogliamo usare un’espressione non comune, ma di fede – ci sono solo delle Dio-incidenze.
È Dio che guida con questa regìa nascosta, ma altrettanto efficace.
E come credenti avvertiamo la necessità di recuperare uno sguardo intriso di memoria degli eventi nei quali abbiamo sperimentato la benevolenza e la fedeltà di Dio, la sua misericordia e anche la capacità di essere aperti alla novità di Dio Padre che nel testo di Matteo è richiamata da Maria, Vergine e, al tempo stesso, Madre per opera dello Spirito Santo.
Memoria e Novità sono i due pilastri su cui si fonda l’esperienza di ogni uomo e di ogni credente. Sappiamo bene che perdere la memoria è un segno premonitore che porta con sé smarrimento e disorientamento, non solo da un punto di vista biologico (quante volte cominciamo a dimenticare i cognomi, poi i nomi: è il segno di una “giovinezza” che avanza inesorabile!) ma anche culturale e spirituale; un popolo senza memoria è privato di quell’esperienza di vita che i nostri padri ci hanno consegnato, spesso attraverso prove e sacrifici, valori acquisiti e difesi con fortezza e fedeltà, ma sarebbe altrettanto preoccupante se fossimo uomini e donne rassegnati all’idea che nulla potrà mai cambiare nella nostra vita, nella società e anche nella Chiesa. Lasciamo risuonare nel nostro cuore le parole dell’Apocalisse di San Giovanni che pronuncia colui che è seduto sul trono: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
In questa luce di memoria e novità, che cosa può dirci oggi la Vergine Maria?
Tante cose. Vorrei richiamare solo che nel vangelo Luca ci dice che, dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, “Maria, da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Maria non solo è parte attiva di questi avvenimenti: il suo sì pronunciato nel giorno dell’Annunciazione è espressione di un’adesione convinta e desiderosa, ma ha anche tempo per custodire e meditare.
È un’indicazione importante per noi; possiamo dire che la Vergine entra in quella grande tradizione dei Sapienti d’Israele che hanno saputo investire tempo, dare tempo, per pensare, meditare, per riflettere su quanto accadeva a loro e su quanto accadeva loro nella vita di tutto il popolo.
Nel nostro tempo, se da una parte abbiamo sviluppato la capacità comunicativa come in nessun’altra epoca, avendo la possibilità di essere informati in tempo reale di eventi e notizie da ogni parte del mondo, dall’altra non abbiamo tempo di fermarci per pensare, riflettere e cercare di comprendere il senso di tali eventi. Siamo bombardati da una miriade di notizie con tutte le app istallate sul cellulare che arrivano e ci informano. Non solo, la nostra è sempre più una comunicazione virtuale, affidata ai social: spesso ci troviamo in mezzo alla gente, anche tra amici, durante incontri e conferenze e non siamo capaci di sottrarci alla tentazione di guardare il cellulare, di mandare messaggi e guardare video; magari continuiamo a parlare con quelle persone, ma il nostro cuore e la nostra attenzione sono altrove. Anche nelle nostre famiglie, perfino in occasioni conviviali siamo continuamente distratti e può capitare che il cellulare non ci abbandoni nemmeno in quei momenti consacrati al dialogo e all’incontro con le persone a cui vogliamo bene.
Grande delusione quando ci arriva un messaggio ed è solo uno spot pubblicitario: pensavamo che qualcuno ci pensasse con affetto e invece era quella agenzia che ci contattava.
Uno dei drammi del nostro tempo è proprio questo: non abbiamo tempo per pensare e meditare e così viviamo alla superficie della nostra umanità, anche se possiamo ottenere e conseguire dei successi e dei riconoscimenti sul piano professionale, sociale ed ecclesiale. Pensate come sarebbe qualitativamente diversa la nostra vita se riuscissimo a ritagliarci un tempo privilegiato, all’inizio della giornata e al suo termine, per fermarci a metterci in ascolto del nostro cuore. Non tanto per verificare la frequenza cardiaca, ma per sapere che cosa ci sta a cuore. Abbiamo perso il cuore.
Infatti l’evangelista Luca ci dice a proposito di Maria: “meditava nel suo cuore” (Lc 2,19). Il cuore è il luogo per eccellenza per la meditazione. È il centro della persona. Sappiamo bene che nella Sacra Scrittura è l’organo che designa il centro, dove confluiscono pensieri e sentimenti, in un’unità profonda che, se viene conseguita, porta con sé il dono della Sapienza del cuore! È ciò che chiede Salomone all’inizio del suo mandato come Re. Egli si rivolge a Dio dicendo “Manda la tua sapienza, perché io sappia che cosa ti è gradito, perché io sappia distinguere il bene dal male e sia autenticamente al servizio del bene delle persone che mi sono affidate” (cfr. Sap 9).
Acquisire questa sapienza non significa conseguire una conoscenza o una scienza sempre più perfetta e elaborata. Oggi viviamo in questo mito scientista per cui si pensa che tutto ciò che è scientificamente possibile è legittimo e lecito. Pensiamo alle tante preoccupazioni che da più parti si sono manifestate per l’insidia di un’intelligenza artificiale, sganciata da ogni riferimento etico e da una visione integrale dell’uomo.
La sapienza del cuore è invece la capacità di affrontare le grandi questioni che attraversano la nostra vita e che ogni uomo si porta dentro: qual è il significato della mia vita? Per che cosa vale la pena faticare, impegnarsi, soffrire? Come vivere delle relazioni mature? Come scegliere gli amici o la persona con cui condividere la propria vita? Come affrontare il successo e il fallimento? Come dare senso anche alle mie fragilità e malattie? Come affrontare il grande nemico, la morte, o la perdita di una persona cara? Tante domande, non accademiche, che entrano in modo prepotente e imprevisto nella nostra vita, che non possiamo eludere, che forse adesso diciamo di non avere tempo di affrontare, eppure ci sono momenti nei quali abbiamo necessità non di un manuale di istruzioni per l’uso o, come si suol dire, di un tutorial e nemmeno di uno scienziato che ci spieghi come funziona il mondo, ma di qualcuno che possieda questa Sapienza del cuore, perché come scriveva Pascal, uno scienziato ed un brillante genio matematico – di cui in quest’anno ricorre il quarto centenario della sua nascita – “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Pascal lo dice con l’autorevolezza di uno che ha sondato i grandi misteri della scienza, ma sa che certe risposte e certi interrogativi vengono dal cuore, dalla ragione del cuore. Non è forse vero che anche nella sapienza popolare non c’è elogio più grande che si possa fare ad una persona che dirle che era una persona di cuore? E ciò non dice solo la sua generosità, ma richiama la sua nobiltà d’animo, quella di una persona affidabile, dal cuore grande, cioè che ha conseguito la capacità di amare. Questa è la vera sapienza del cuore!
In effetti, se nella nostra vita non impariamo ad amare, che cosa conta il nostro successo? Se quando si chiude la porta di casa, magari dopo una giornata in cui abbiamo conseguito i nostri obiettivi professionali e lavorativi, non c’è nessuno con cui condividerli? Se non viviamo la nostra vita in una dimensione di dono e offerta che cosa resterà di noi? Un conto in banca? Una targa celebrativa? Un encomio solenne?
Carissimi fratelli e sorelle, poniamoci alla scuola della Vergine Maria, Madre sapiente e premurosa, perché la nostra città di Reggio e la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla siano abitate da uomini e donne capaci di offrire il dono più grande: la Sapienza del cuore, cioè la capacità di amare!
+ Giacomo Morandi