Il 14 settembre prossimo, accogliendo un invito dell’Arcivescovo Giacomo, nella chiesa della Confraternita di San Girolamo a Reggio Emilia si celebrerà la festa dell’Esaltazione della Croce con una santa Messa alle ore 18 presieduta appunto da monsignor Arcivescovo.
La decisione non è singolare, visto che la confraternita in passato ha costruito da zero l’imponente edificio attuale per collocare il proprio oratorio tra la Scala Santa ed il Santo Sepolcro. In effetti tale celebrazione era una delle principali per il sodalizio, ma da tempo era stata abbandonata.
La celebrazione dell’Esaltazione della Croce è importante per tutti i cristiani, non solo per noi e per gli Ortodossi, che la collocano tra le 12 feste principali dell’anno, ma anche per varie confessioni protestanti. Inoltre è una delle più antiche della Chiesa universale, dato che è stata istituita dopo che nel 335 furono dedicate le due chiese fatte costruire da Costantino sul Santo Sepolcro (Anastasis) e sul Golgota (Ad Martirium) e la dedicazione fu fatta il 14 settembre, che è anche la data in cui tradizionalmente si colloca il ritrovamento nel 320 da parte di S. Elena, madre di Costantino, della vera Croce.
È quasi superfluo sottolineare l’importanza della festa per noi, dato che la Croce è centrale nel messaggio evangelico di cui viviamo e che dobbiamo trasmettere ai nostri figli. Su un piano mistico si potrebbe addirittura dire, forzando un po’ i toni, che il cammino di Cristo è finalizzato alla Croce, quello del Padre alla Resurrezione. Come uomo, Cristo ha provato il ripudio e l’orrore della Croce, come Dio, in base al suo amore perfetto per il Padre, possedeva anche una perfetta ubbidienza, per cui ha affrontato il suo cammino senza tentennamenti.
L’affermazione della centralità della Croce parte addirittura da san Paolo, che nella lettera ai Galati scrive: “Io invece voglio vantarmi soltanto di questo: della Croce di Cristo” e l’affermazione veniva un tempo sviluppata nell’Introito della Messa per l’Esaltazione della Croce: “Nos autem gloriari oportet in Cruce Domini Nostri Jesu Christi, in quo est salus, vita et resurrectio nostra, per quem salvati et liberati sumus” [cioè: Noi invece dobbiamo gloriarci della Croce di Nostro Signor Gesù Cristo. In Lui abbiamo la salvezza, la vita e la nostra resurrezione. Da lui siamo stati liberati e salvati].
Con questo si sottolineava l’elemento teologico fondamentale della Croce, che è via per la Resurrezione, cioè per il trionfo di Cristo sulla morte e sul peccato, e che è strumento della redenzione, cioè della liberazione, della vita e della salvezza per gli uomini. Ricordiamo la famosa affermazione di Cristo a Nicodemo: “Mosè nel deserto innalzò il serpente di bronzo su un palo. Così dovrà essere innalzato anche il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico figlio perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Così la Croce è il segno più alto dell’amore e della misericordia di Dio per l’uomo e contemporaneamente è l’altare su cui l’Agnello di Dio è immolato per la salvezza degli uomini e per la nuova ed eterna alleanza. è anche il trono di Cristo che, trionfando sulla morte, inaugura i tempi della nuova vita, della nuova umanità, dei nuovi cieli, così come è il segno che alla fine dei tempi apparirà nel cielo per annunciare la seconda venuta di Cristo.
La Croce, un oggetto di per sé misero e vergognoso, assume così un valore simbolico grandissimo, che si apre alle meditazioni più impegnative. Purtroppo, se essa segna il momento più alto – almeno per la nostra capacità di comprensione – dell’amore di Dio, essa ci ricorda anche la malvagità che nel cuore dell’uomo continua a convivere con l’ansia di bene.
Sono stati infatti l’egoismo, il desiderio di potere, la stupidità, la crudeltà degli uomini, la viltà, il tradimento che hanno inchiodato Gesù sulla Croce. Ed hanno inchiodato quel Gesù che aveva detto: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi ed io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore … il mio giogo infatti è dolce ed il mio peso leggero”, quel Gesù che poi rese chiaro il significato di queste parole versando per i miseri tutto il suo sangue. Così la Croce diventa anche il simbolo dell’ingiustizia umana, degli abissi a cui possiamo arrivare se ci affidiamo al male. Allora la meditazione sulla Croce si allarga da Dio all’uomo e fatalmente si trasforma in preghiera.
Ritorniamo dunque a san Paolo, che, con la profondità del suo sguardo nel mistero di Dio, ha sempre qualcosa con cui arricchirci e che, in questo caso particolare, ci tramanda quello che forse era già un inno che esprimeva la riflessione cristologica della Chiesa primitiva:
“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio lo ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome,
affinchè nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore,
a gloria di Dio Padre”.
Zeno Davoli