Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da monsignor Giacomo Morandi per la solennità del Sacro Cuore il 16 giugno 2023 in Cattedrale.
«Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete, infatti, il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama» (Dt 7,7-8): sono queste alcune delle parole che Mosè affida al popolo di Israele accampato alle steppe di Moab.
E sembra che ci sia una preoccupazione nel cuore di questo grande padre: che Israele dimentichi la ragione profonda della sua elezione, che possa cadere in un fraintendimento e in un equivoco.
In effetti, poco più avanti, Mosè riprende il discorso dicendo: «Quando entrerai in questa terra dove scorre latte e miele, troverai delle città che tu non hai edificato, godrai di frutti della terra che tu non hai piantato […] non dire “la mia giustizia ha operato tutto questo”, perché tu entri a causa della malvagità degli altri popoli» (cfr. Dt 9,4-6).
Non ti dimenticare la ragione profonda: sei il più piccolo e il Signore ti ha amato.
È una parola che vuole sgombrare ogni equivoco, ma che diventa anche un serio monito per Israele: in fondo, la piccolezza e l’insignificanza di Israele permette a Dio di rivelarsi, l’elezione di Israele, il più piccolo, è in vista della rivelazione di un Altro e consente di comprendere che la grandezza e la sapienza di Israele è la conseguenza di un dono, di un’alleanza, di una fedeltà che è quella di Dio.
Dio è costantemente fedele a questa logica, una logica nella quale nel piccolo si rivela il grande; questa logica si manifesta nell’elezione di Israele, ma anche nella scelta delle persone a cui Dio affida una missione e un incarico: sceglie Mosè – memorabile quel dialogo del capitolo quarto dell’Esodo, sembra il dialogo tra un vescovo e un presbitero che alla fine dice “Manda chi vuoi mandare! Basta che non sia io!” – ma Mosè obietta “Sono incirconciso, non so parlare” (cfr. Es 4, 10-16) e Dio gli dirà: “Ti darò Aronne, sacerdote”.
Oppure Davide – di bell’aspetto, fulvo di capelli, rossiccio –, quando viene consacrato: nemmeno il padre ha avuto il coraggio di presentarlo e Samuele, che guardava questi armadi di figli, rimane stupito a sentirsi dire “Io guardo il cuore, non l’aspetto” (cfr. 1Sam 16,7);¹ Davide cadrà per la presunzione, non per la debolezza, per il censimento: questo è il grande peccato di Davide (cfr. 2Sam 24). Amos, un mandriano e incisore di sicomori, né profeta né figlio di profeti (cfr. Am 7,14-15). Geremia: “Sono giovane, non so parlare” (cfr. Ger 1,4-19).
A Ezechiele addirittura viene detto “Ti mando in un luogo dove non ti ascolteranno nemmeno” (cfr. Ez 2)² – pensate se dovessimo dare una missione a un presbitero dicendo “Ti mandiamo proprio là dove non ti ascolteranno”. Forse il presbitero dirà “Ci vada lei, Eccellenza!” –. Maria, la Vergine, in un paese sperduto della Galilea (cfr. Lc 1,26). Gli apostoli tratti da pescatori, pubblicani e zeloti; nessun curriculum è stato preso dalle scuole di Gamaliele e del rabbi Achiba, nessuno!
Non è, dunque, vero che non sappiamo come Dio agisce, perché la storia della salvezza è chiara: Dio non ha bisogno di uomini che pensano di essere all’altezza o, come si suol dire oggi, che bucano lo schermo e non riescono a colpire il cuore. E nei racconti di vocazione noi troviamo la resistenza del chiamato che in tutti i modi cerca di sottrarsi a una missione che lo sovrasta, perché è sempre così! La missione di Dio ci sovrasta perché siamo deboli, siamo fragili, non ci sentiamo all’altezza. Allora l’uomo cerca di resistere e anche di dare qualche nome alternativo purché la missione di Dio si compia senza il suo coinvolgimento. Ma Dio non recede.
La logica, dunque, che fa crescere il regno di Dio è chiara: è come il meccanismo dei vasi comunicanti, più tu diminuisci, più Dio si rivela; più ti fai grande, meno Dio appare. Questa non è solo la storia della salvezza, ma è il più grande magistero che noi abbiamo, quello dei santi.
In questa dinamica – che può sembrare elementare, semplice – inevitabilmente si inseriscono le tentazioni dell’avversario e le tentazioni sono portate avanti non da coloro che ci criticano e che ci santificano, ma, al contrario dai nostri “fans”, dai nostri “supporter ecclesiali”, i tifosi.
Quando a Giovanni Battista viene comunicato dai suoi discepoli che colui al quale ha dato testimonianza, cioè Gesù, sta battezzando e tutti accorrono a lui (Tremendo eh? Abbiamo perso i clienti!), qual è la risposta di Giovanni? «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30); Giovanni ha ben chiaro che la sua persona, le sue doti e le sue capacità non possono oscurare Colui che gliele ha donate, che al contrario Lo devono rivelare perché, come dice Paolo «Né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Cor 3,7), un tesoro in vasi di creta, perché appaia anche che questa potenza straordinaria appartiene a Dio (cfr. 2Cor 4, 7).
Cari fratelli, vigiliamo attentamente sui nostri “fans”, sui fratelli e anche le sorelle che, pur in buona fede, suggeriscono che una nostra eventuale partenza dalla comunità comprometterà il lavoro iniziato, quasi che non valga più quello che Gesù ha detto: qui uno semina e l’altro raccoglie.
Quando Paolo saluta gli anziani di Efeso, dopo un anno e mezzo di ministero, e i fedeli di quella comunità, li saluta dicendo come dovrebbe fare un buon presbitero: «Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio» (At 20,25). Ma Paolo dice: «Vi affido a Dio e alla parola della sua grazia che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che sono stati santificati» (At 20, 32). Un vero pastore parte, non radica in sé ma nella Parola e, se questo vale per Paolo, potrebbe valere anche per noi!
Carissimi fratelli, uno dei dolori più grandi di un padre e anche di un vescovo è assistere impotente, ve lo dico col cuore, al naufragio dei figli suoi più cari, i presbiteri, che avvinghiandosi al bene fatto e seminato con generosità non sono più in grado di accogliere quello che René Voillaume definisce la “seconda chiamata”,³ cioè il coraggio di una fragilità offerta e donata.
Assistere impotente, perché è vero che certe tristezze – lo intravediamo nei volti duri di qualche confratello – sono il segno inequivocabile di una resistenza cocciuta alla grazia di Dio.
La Parola di Dio ci dice anche oggi che se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi.
Carissimi fratelli, che il nostro presbiterio sia un luogo di autentica carità, di una sollecitudine affettuosa, calorosa, simpatica, e vi ringrazio perché ci sono tanti segni belli nel nostro presbiterio di fratelli che si prendono cura gli uni degli altri, che sanno sostenere confratelli più in difficoltà, con problemi a volte di salute, con travagli interiori, con un’amicizia semplice e schietta, perché se ci amiamo Dio rimane in noi. E non diciamo “Ma perché dobbiamo incontrarci? Cosa ci incontriamo a fare? Cosa dobbiamo decidere?”! Niente!
Ci incontriamo perché ci vogliamo bene! Siamo fratelli nel battesimo e nel sacerdozio e tutti siamo impegnati per aiutare il popolo di Dio a cui siamo mandati perché egli, questo popolo, possa crescere insieme con noi nell’incontrarsi attorno alla Parola di Dio in una fraternità semplice e gioiosa in cui ci sono sempre motivi per parlare, per comunicarci.
Anche il presbiterio di Reggio Emilia-Guastalla, come tutti i presbiteri di tutte le latitudini e longitudini, ha sempre degli informatori che dicono le novità: “Mi raccomando, non dire nulla, eh? È un segreto! Anch’io avevo promesso di non dirlo, ma poi mi confesserò”. È anche bello, quindi, che ci siano queste radio dislocate un po’ in tutta la diocesi, non credete? (in tono ironico).
E la condizione di questa fraternità semplice e gioiosa è la condizione senza la quale non nascerà una nuova pastorale e non nasceranno attività feconde, perché l’unica cosa che rende fecondo il nostro impegno pastorale e il nostro servizio è la carità che viviamo tra di noi. E allora l’amore di Dio porterà un frutto abbondante il 30, il 60, il 100 per uno.
+ Giacomo Morandi
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NOTE AL TESTO
¹- 1Sam 16,7: «Il Signore rispose a Samuele: Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore».
²- Ez 2,3: «Egli mi disse: Figlio d’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a nazioni ribelli, che si sono ribellate a me; essi e i loro padri si sono rivoltati contro di me fino a questo giorno. A questi figli dalla faccia dura e dal cuore ostinato io ti mando».
³- RENÈ VOILLAUME in: Sergio Stevan (a cura di) La Seconda chiamata. Il coraggio della fragilità, Dehoniane, 2018.