Ho aspettato tre giorni prima di scrivere di Silvio Berlusconi per vedere se davvero era immortale come credeva di essere. Ma non è successo nulla.
Anche sua Emittenza, si è dovuto arrendere al cospetto di quella morte che fa parte della vita senza centrare il traguardo dell’immortalità.
Di lui si è detto tutto e di più, nel bene e nel male. E non sta a me esprimere un giudizio.
Ma sicuramente la sua epopea si intreccia alla mia vita e forse questo spiega la sensazione strana che mi pervade da lunedì scorso: la trentennale epoca berlusconiana riguarda trent’anni di vita, non solo suoi, ma anche miei.
Anzi trentaquattro anni per l’esattezza se penso ai primi ricordi che ho di lui.
Berlusconi è uno di quei personaggi che fan parte di te anche se non l’hai mai conosciuto.
Ha cambiato la mia vita? No se penso alla sua perenne campagna elettorale da imprenditore televisivo prima e da politico poi.
Di sicuro le mattine a casa da scuola in cui nell’ordine guardavo i Chips, l’A-team, Mc Gyver, Magnu P.I. e Tj Hooker prima di pranzo, erano mattine bellissime, con mia nonna che mi dava pane e burro.
E poi alle 16 appuntamento su Italia Uno con BimBumBam e tutti i cartoni della mia generazione.
Ecco se ripenso al palinsesto della mia vita, forse i telefilm e i cartoni delle reti della Fininvest di allora mi hanno un po’ influenzato.
Tornando alla domanda se ha cambiato la mia vita, bè mi sento di dire si se penso ai miei sogni di bambino colorati di rosso e di nero.
Nella mia vita, il Milan c’era già. Era quello di mio papà, di Rivera, Trapattoni, Maldini Cesare…
C’era ma non come sarebbe stato dopo quel 1989 quando Marco Van Basten avvitandosi in maniera incredibile e colpendo di testa pareggiava i conti al Bernabeu contro il Real di Butragueno e Hugo Sanchez.
Uno a uno a Madrid. Apoteosi a Milano al ritorno con quel 5 a 0 nella storia e poi la finale a Barcellona con lo Steaua vittima sacrificale.
Le mie timide simpatie nerazzurre per l’Inter di Rumenigge prima e di Matthaus poi, vennero spazzate dal quel favoloso undici rossonero capace di regalare e realizzare i sogni di un intero popolo di appassionati che in tre decadi ha visto tantissimi campioni vestire i colori milanisti.
E il venditore di quei sogni era Silvio Berlusconi. Essere milanista oggi presuppone due cose: ammettere che il Milan è cosa di famiglia e avere la certezza che sia possibile realizzare i sogni. Che altro non sono che il mantra dell’imprenditore partito da Arcore e arrivato alla conquista del mondo pallonaro divenendo il Re di Coppe tra gli anni 80 e gli anni 90.
Del Berlusconi uomo di sport rimarrà questa immagine: l’unico che dichiarava di avere un sogno, l’unico che ha saputo realizzarlo. Nella sua follia c’era la sua visione. Nel suo Milan c’era il suo sogno.
Forse è a quel Milan che oggi devo questa spasmodica ricerca del sogno da realizzare: rosso come il colore della passione e dell’amore, nero come il colore che va su tutto e che sta con tutto.
Se penso ora a dove possa trovarsi Silvio Berlusconi non saprei se collocarlo come uno tra i tanti in Paradiso o se metterlo come primo all’Inferno.
Nel caso fosse uno come tanti, so che non riuscirebbe a starci; nel secondo di sicuro proverebbe a realizzare il sogno di arrivare in Paradiso, ma stavolta il portafoglio o qualche legge non lo potranno aiutare.
Comunque vada rimarrà un personaggio divisivo, che solo la storia saprà giudicare.
Per me rimarrà un uomo che aveva un sogno. E l’ha realizzato: fare del Milan la squadra più forte del mondo.