“Indossate l’armatura di Dio”

Sono il violino di Marco Dallara e il clavicembalo di Ioana Carausu a segnare l’inizio del primo incontro quaresimale voluto da monsignor Giacomo Morandi sul tema “Indossate l’armatura di Dio” (Ef 6,11) nel dopocena di mercoledì 8 marzo in Cattedrale.

Ampia la partecipazione e variegata l’età dei presenti, molti dotati di taccuino per gli appunti, con i giovani seduti sulle gradinate. Tutto si può (ri)vedere anche su La Libertà Tv, che rende disponibile il video della serata subito dopo la sua conclusione (qui le foto di Giuseppe Maria Codazzi).

Nel raccoglimento creato dalla musica dei docenti dell’Istituto diocesano “Don Luigi Guglielmi” s’inserisce l’invocazione cantata allo Spirito Santo “Tu sei sorgente viva”, dopodiché è il segretario dell’Arcivescovo, don Emanuele Sica, a introdurre la catechesi dal titolo “Il dono della Vita Nuova: «Siamo vivi tornati dai morti»”, incentrata su un passo della lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 6,1-14) proclamato, con sottofondo musicale, dal diacono Roberto Zingoni.

“Perché combattere? Quale tesoro difendere e da chi?”: la predicazione del pastore diocesano parte da queste domande. La risposta attraversa diversi testi del Nuovo Testamento, a cominciare dal capitolo sesto della Lettera agli Efesini in cui l’Apostolo esorta a indossare l’armatura di Dio per resistere alle insidie del diavolo. 

La nostra battaglia è contro i principati e le potestà e il fine non è vincere, ma restare saldi, giacché la vittoria è già stata ottenuta da Cristo una volta per tutte. Noi viviamo all’interno di questa signoria – commenta l’Arcivescovo – e qualcosa di analogo ci viene detto da san Giovanni nell’Apocalisse, al capitolo 12, dove si descrive la caduta del drago sulla terra e la sua reazione furiosa contro la donna, simbolo della Chiesa: benché battuto, il diavolo sceglie di muovere guerra a coloro che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. 

Ecco la ragione del combattimento che subiamo: il tentatore lotta contro di noi per rendere inefficace la vittoria che Cristo ha ottenuto. Il nemico è dunque presente nella storia in modo misterioso ma efficace, per seminare zizzania e minare una relazione, quella con Cristo, che cambia radicalmente la condizione dell’uomo. E così arriviamo al testo centrale della serata. Se nel capitolo quinto della Lettera ai Romani Paolo scrive che dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, in questo brano sembra voler correre ai ripari da una possibile interpretazione auto-giustificante (come dire: se il mio peccato dà a Dio la possibilità di manifestare la Sua misericordia, tanto vale restare in tale condizione) e subito la definisce assurda. 

La buona notizia, il vangelo – sottolinea monsignor Morandi – è che noi siamo morti al peccato, perciò non siamo più sotto la sua schiavitù. E nel capitolo successivo san Paolo descrive la condizione dell’uomo non redento: “Io non compio il bene che voglio ma il male che non voglio”. La seduzione del peccato consiste proprio nello spingere la persona all’autogiustificazione, nel cercare nella Scrittura i versetti che corroborano le proprie idee, ma così facendo essa produce una lacerazione profonda, una malattia spirituale simile alla schizofrenia, quindi una vita fratturata.

L’originalità di san Paolo consiste nel leggere il battesimo come immersione nella morte e risurrezione di Cristo. Analizzando il testo greco, Morandi specifica che veniamo battezzati “in” Cristo non nel senso statico di “en” ma in quello dinamico di “eis”, che dice di un moto a luogo. L’Apostolo ci fa capire che attraverso il battesimo ci siamo spostati in una realtà nuova: abbiamo lasciato il mondo della signoria del peccato per entrare in un altro ambiente vitale, avvolti da Cristo, in una sorta di passaggio di proprietà, di adesione intima e personale. Soprattutto, siamo in una relazione che porta alla progressiva conformazione a Cristo, il che significa diventare nuove creature (cf 2Cor 5,17): non si ringiovanisce, ma si migliora nella qualità della vita spirituale.

In Galati 2,20 Paolo dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me” e in Filippesi 1,21 “Per me vivere è Cristo”. È in virtù della relazione con il Signore che siamo sottratti al dominio del peccato e sperimentiamo la grazia di essere con Lui con-morti, con-sepolti e con-resuscitati, il che è molto di più che condurre una vita virtuosa.

Se il fonte battesimale è insieme sepolcro e grembo, dice ancora monsignor Morandi, la posta in gioco, il dono da custodire è rimanere saldi nella Vita Nuova.

“Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale”, esorta san Paolo nella lettura della serata. Lo fa perché in noi ci sono i residui dell’uomo vecchio; il combattimento spirituale è perciò orientato a non compromettere nel presente il tesoro della relazione con Dio. La risposta è l’ascesi cristiana: si combatte perché si è fatta un’esperienza di fede talmente piena e intrisa di gioia che non la si vuole perdere, memori di quello che i grandi maestri della vita spirituale, i padri del deserto, chiamavano il “pentos”, l’esperienza della conversione.

L’Arcivescovo legge un brano di Vladimir Solov’ëv per mostrare le mosse del nemico: “Credendo di cuore a Dio, avendo sperimentato in noi l’azione della grazia divina, abbiamo l’inizio di una vita spirituale. L’inganno della tentazione consiste in questo che fa prendere tale inizio per un termine raggiunto e considerare lo sbocciare della vita spirituale come la sua perfezione. L’inganno sta nel far credere che la vita spirituale ci sia data di colpo e completamente, senza bisogno di crescere e di essere sempre in un moto progressivo di perfezionamento interiore e di compimento esteriore. Si considera l’uomo spirituale un essere non compresso, integro e compiuto, mentre in realtà esistono e agiscono in lui due forze vive: il germe di una vita nuova della grazia e il resto della vita peccaminosa anteriore. Lo scopo della tentazione e del nemico è servirsi di tale germe ancora debole, di questa caparra del dono dello Spirito, come di una maschera per le nostre antiche tendenze cattive e con questa giustificarle e rinvigorirle”.

Il grande rischio della vita spirituale, conclude il vescovo Giacomo, è di non crescere più. E fra le tecniche del nemico ci sono il far leva sulla memoria del bene fatto perché si possano aprire delle eccezioni e l’illuderci di conquistare con le nostre forze ciò che ci è donato unicamente per grazia.

Prima della benedizione finale c’è spazio per le domande di Francesco e Samuele. E nella risposta Morandi tratteggia un’altra arma del nemico, l’abitudine, che ci va vivere alla superficie di noi stessi, mentre la tristezza è l’ottavo vizio capitale: ecco perché è impossibile peccare nella consolazione ed è l’amicizia con il Signore che ci salva.

Le prossime date delle catechesi di Quaresima sono mercoledì 15 e 22 marzo, sempre alle 21 in Cattedrale. 

2 risposte su ““Indossate l’armatura di Dio””

I testi non sono disponibili, ma sul giornale La Libertà ci sono ampie sintesi delle varie catechesi

Si potrebbe avere il testo delle 3 catechesi? Una suora che non è avvezza all’uso degli strumenti digitali desidererebbe leggere le catechesi.

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