Il Papa nella Repubblica Democratica del Congo: «Fate tacere le armi, mettete fine alla guerra!»

Emelda non sa bene il francese, a leggere la sua testimonianza è un’altra donna. A 16 anni è stata tenuta come schiava sessuale e abusata per tre mesi.
“Ogni giorno da cinque a dieci uomini abusavano di ciascuna di noi. Ci hanno fatto mangiare la pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. A volte mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali. Questo era il nostro cibo quotidiano. Chi si rifiutava di mangiarlo veniva fatto a pezzi e gli altri erano costretti a mangiarlo”. È solo una delle agghiaccianti testimonianze ascoltate, in silenzio dal Papa, durante l’incontro con le vittime della violenza nella parte orientale del Paese, in cui non ha potuto recarsi per questioni di sicurezza.

A parlare sono soprattutto le donne, come Bijoux, che a 14 anni è stata violentata ripetutamente ogni giorno, per 19 mesi, dal comandante di una brigata di ribelli sopraggiunti nel suo villaggio e ora stringe a sé due gemelli frutto di quelle violenze, oggetto delle tenere carezze del Papa.

È il momento più commovente dei tre giorni di Francesco nella Repubblica Democratica del Congo, quello in cui le vittime della guerra, dei conflitti, dell’odio hanno deposto davanti al grande Crocifisso sotto il quale era seduto il Papa i simboli delle loro atroci torture – un machete, un coltello, una lancia, l’uniforme dei guerriglieri, la stuoia dove venivano perpetrati gli abusi – per dimostrare che il perdono è possibile, anche tra le atrocità più disumane e disumanizzanti, se si è in grado di “smilitarizzare il cuore”, come ha chiesto il Papa nel suo discorso, esortando ogni abitante del Paese a divenire costruttore responsabile del suo futuro: “sì” alla riconciliazione, “no” alla rassegnazione.

“La donna, ogni donna, sia rispettata, protetta, valorizzata”, l’appello finale rivolto alle vittime principali di ogni conflitto: “commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana”.
“Fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!”.

Mentre condivide le sue lacrime con quelle delle vittime, Papa Francesco ricorda gli esempi di “seminatori di speranza” – come l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, assassinati due anni fa nell’Est del Paese – e rilancia l’appello già lanciato nel suo primo discorso, pronunciato dal Palais della Nation di Kinshasa e rivolto a coloro che “tirano i fili della guerra”.
Serve “una grande amnistia del cuore”, in un mondo scoraggiato per la violenza e per la guerra: “L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni! Non possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti. Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa!”.

Prima dell’incontro in nunziatura, la Messa nell’aeroporto di ’Ndolo, davanti ad oltre un milione di persone.
“Noi cristiani siamo chiamati a collaborare con tutti, a spezzare il circolo della violenza, a smontare le trame dell’odio”, l’invito di Francesco per essere “missionari di pace”.
“Lasciamoci perdonare da Dio e perdoniamoci tra di noi”, il mandato a proposito del tema centrale del viaggio, presente fin dal primo discorso, così come in quello rivolto al clero, esortato a “dialogare, accogliere e perdonare, immettere fiumi di pace nelle aride steppe della violenza”.

E proprio al perdono il Papa ha dedicato le ultime parole, aggiunte a braccio, del discorso rivolto ai vescovi prima di congedarsi dal Paese per dirigersi alla volta del Sud Sudan, seconda tappa del suo 40° viaggio apostolico, compiuta insieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e al moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields.
Di certo Bergoglio porterà nel cuore, tra i vari momenti del viaggio, anche il bagno di folla con 65mila giovani, che hanno cantato e danzato alla Stadio dei Martiri e ai quali ha chiesto, fuori programma, di darsi la mano l’un l’altro per sperimentare cosa sia la fraternità.

“Pas de corruption!”, il grido del Papa in francese: “Se qualcuno ti allungherà una busta, ti prometterà favori e ricchezze, non cadere nella trappola, non farti ingannare, non lasciarti inghiottire dalla palude del male. Non lasciarti vincere dal male, vinci il male con il bene”.
Forte e chiara la consegna al termine della prima tappa del viaggio. Rivolgendosi ai vescovi della Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha sintetizzato così il loro ruolo pacificatore che, ha precisato, non consiste un’azione politica: “sradicare le piante velenose dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; demolire gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; edificare una convivenza fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla pace; e, infine, piantare semi di rinascita, perché il Congo di domani sia davvero quello che il Signore sogna: una terra benedetta e felice, mai più violentata, oppressa e insanguinata”.

Maria Michela Nicolais

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