La convocazione diocesana per il rilancio del cammino sinodale ha avuto una risposta incoraggiante: più di quattrocento persone, nel pomeriggio freddo e uggioso del 22 gennaio, nella quarta Domenica della Parola, hanno gremito la chiesa del Sacro Cuore a Reggio Emilia per i momenti introduttivo e conclusivo guidati dall’Arcivescovo.
All’inizio, dopo l’invocazione cantata allo Spirito Santo, monsignor Morandi ha ricordato come il secondo anno di cammino sinodale offra a tutti un supplemento di ascolto. “La condivisione di quanto le persone vivono e delle inquietudini della società è per noi appello a riscoprire la bellezza e la gioia del Vangelo”, aveva scritto il pastore nella lettera indirizzata a tutto il popolo di Dio che è in Reggio Emilia-Guastalla.
Il significato specifico dell’incontro domenicale, nei due gruppi di lavoro che si sono spontaneamente formati poco dopo, era quello mettersi in ascolto di persone impegnate professionalmente nella società civile, a prescindere da una logica credente, per farsi raccontare ciò che osservano e ciò che a loro avviso chiede di essere accompagnato anche dalla Chiesa per il bene di tutti.
Non dobbiamo “rispondere”, ha detto il vescovo Giacomo, ma calarci nei diversi ambiti di ascolto con la disponibilità della mente e del cuore: dare tempo all’ascolto è già annunciare il Vangelo.
Morandi ha anche indicato nel momento organizzato dalla nostra Chiesa con la regia di don Stefano Borghi un “modello di stile” che sarà opportuno replicare sul territorio, nei vicariati o nelle unità pastorali, anche scegliendo temi differenti da quelli approfonditi a livello diocesano; l’auspicio è che da qui a giugno le occasioni sinodali “locali” di ascolto siano almeno un paio.
Al termine dei gruppi su “lavoro” e “salute”, svoltisi rispettivamente in chiesa e nel salone del Centro pastorale, l’incontro è stato concluso da un momento di preghiera caratterizzato dall’intronizzazione del libro delle Sacre Scritture.
Commentando il brano lucano che racconta l’accoglienza di Gesù nella casa di Betania e citando anche la parabola del Buon Samaritano che lo precede, il vescovo Giacomo ha messo in evidenza una sorta di apparente contraddizione, nella predicazione del Signore, circa l’importanza del fare: se l’impegno concreto del Samaritano che soccorre il malcapitato viene elogiato, l’agitarsi di Marta intorno al Maestro viene quasi sminuito.
In realtà, l’accostamento dei due episodi – ha commentato il pastore – fa capire che non c’è alcuna contrapposizione, perché ci dice che nella misura in cui diventiamo discepoli di Gesù impariamo ad amare, cioè a compiere il bene facendolo bene e volendo bene.
È Gesù il primo di cui dobbiamo metterci in ascolto, ha detto ancora riprendendo alcune suggestioni raccolte nella spola fra i due gruppi del pomeriggio: continuamente, la preghiera ci bonifica e ci riporta alle priorità, tra cui l’accoglienza delle persone alla maniera di Abramo nei confronti dei “viandanti” alle Querce di Mamre.
E.T.