Che cosa rimane dopo la morte dell’ex calciatore e allenatore
La partita della vita: così Sinisa Mihajlovic ha intitolato il suo libro, uscito due anni fa, in cui racconta della sua carriera, della malattia e della sua rinascita.
“Sono nato due volte” ripeteva l’allenatore del Bologna, città che lo ha letteralmente adottato, dopo il trapianto di midollo osseo a seguito di quella maledetta diagnosi: leucemia o la “bastarda” come l’ha chiamata lui in una tragica conferenza stampa in cui annunciava di essere ammalato, ma soprattutto dichiarava guerra a quel subdolo nemico.
Iniziava così la sua partita contro la malattia. Un calvario affrontato con dignità, forza e quella voglia di vincere a tutti i costi che solo certi guerrieri hanno dentro.
Del resto lui con la guerra ci ha avuto a che fare in Serbia e, come la sua carriera racconta, le sfide non lo hanno mai spaventato.
Una partita che sembrava vinta dopo il trapianto di midollo osseo.
Un ennesimo trionfo, stavolta più importante degli scudetti vinti in Italia o della Champions conquistata con la Stella Rossa di Belgrado, diventando un eroe moderno, anche se non lo voleva.
Mihajlovic incarnava perfettamente l’esempio coraggioso che affrontare il male si può.
Vincerlo si può. Che la paura va sì rispettata, ma non deve condizionare, e che la tempra di un uomo si vede nelle partite più difficili.
Se prima della sua malattia era un personaggio divisivo tra campo e panchina, dopo quella conferenza stampa era diventato un simbolo di forza con una città, Bologna, e l’Italia strette attorno a lui.
E sembrava che tutto dovesse andare come doveva andare.
C’era tutto: la difficoltà, la battaglia, l’eroe, la vittoria. Era davvero tutto perfetto.
Ma la partita della vita, fatta di imprevisti, sa giocare brutti scherzi: la ricaduta, l’aggravarsi della malattia e poi la morte.
Già, la morte. E con essa la fatidica domanda che in questi giorni di incredulità, cordoglio e frustrazione ci si pone in continuazione: perché? Cosa è la morte?
È forse l’avversaria più temibile nella partita della vita? È anch’essa parte della vita stessa?
E poi arriva subito anche l’altra domanda, quella che tutti ci facciamo quando piangiamo un nostro affetto che ci lascia, perché Mihajlovic era davvero uno di famiglia per tutti: ma Dio dove è?
Perché non ha lasciato che questo esempio di forza d’animo di volontà, di caparbietà ce la facesse dimostrando che davvero vale sempre la pena lottare.
Sarebbe stato un inno alla vita e che davvero soldi, fama e gloria sono il nulla proprio perché la vita non fa sconti e bisogna sudarsela ogni giorno.
La vita. La nostra partita. Quella che giochiamo ogni giorno.
Quella che ci chiede in continuazione di essere vincenti.
In cerca di risposte che non ho trovato sui giornali dei giorni scorsi troppo intenti a incensare il guerriero serbo, dimenticando tutti coloro che stanno combattendo la loro battaglia ma che non hanno la stessa forza e tutta la cassa di risonanza di Mihajlovic, all’indomani di questa notizia, ho rivolto la mia domanda a un gruppo di ragazzi di seconda media che si preparano alla Cresima: ma alla fine Sinisa Mihajlovic ha vinto oppure ha perso?
La maggior parte di loro mi ha risposto che Mihajlovic ha vinto perché tuttavia il suo sogno lo ha realizzato e ha centrato i suoi traguardi.
Altri han detto che ha vinto per il suo esempio di uomo attaccato alla vita, che ce l’ha messa tutta per giocare questa partita contro la leucemia dicendo che alla fine il vero risultato fosse proprio come ha giocato.
C’è anche chi ha detto in tutta franchezza che l’ex giocatore di Lazio, Inter, Samp ha perso.
Che con la sua morte è finito tutto di lui. Che ci ha provato, ma non sempre si riesce a vincere.
La malattia ha vinto, è stata più forte. Infine uno di loro ha risposto dicendo che Mihajlovic ha vinto perché tutto quello che lui ha fatto e realizzato è rimasto vivo perché lo porteranno avanti la sua famiglia, i giocatori che lui ha allenato e i suoi amici.
Lui vive nell’amore che ha lasciato agli altri attraverso il suo esempio, il suo lavoro, la sua passione per il calcio.
Difficile dire chi abbia risposto meglio.
Forse, col Natale alle porte, la risposta sta in quel messaggio d’amore portato dal Bambinello che sta per arrivare in cui è racchiuso il senso di tutto: la vita che vince sempre sulla morte.
E se in panchina c’è Dio a dirigere la squadra, non c’è partita.
Allora possiamo pensare che Mihajlovic abbia solo cambiato campo e che ora sia di là a calciare le sue punizioni micidiali tutte ovviamente nel sette grazie al suo mancino chirurgico e infallibile.
E se partiamo da questo assunto, allora l’ex mister del Bologna ha davvero vinto lasciando che gli altri continuino a portare avanti il suo esempio di uomo, di padre, di marito, di professionista esemplare.
Perché alla fine il vero risultato della partita della vita è racchiuso nel senso che ognuno di noi dà alle cose, quel famoso senso della vita con cui prima o poi tutti dovremo fare i conti e che sicuramente Mihajlovic ha trovato. Anche grazie alla sua malattia.
Allora buona vita Sinisa, ovunque tu sia.