Il ritorno del 10

Tra gli spunti che il mondiale qatariota ci ha fornito c’è sicuramente il ritorno in grande stile della maglia numero 10 indossata non a caso dai campioni più attesi del torneo.

Messi, Modric, Neymar, Mbappè sono le stelle più luccicanti del firmamento targato Qatar e non hanno affatto tradito le attese con l’argentino e il francese che si contendono la vittoria finale.

E poi da sempre Mondiale è sinonimo di grandi numeri 10: la storia di questa competizione l’hanno fatta proprio loro: Pelè, Maradona, Matthaus, Baggio e potrei continuare ancora.

L’esilio della fantasia

Eppure la razza dei 10, i cosiddetti fantasisti dal talento cristallino e dalle doti quasi soprannaturali, hanno rischiato l’estinzione alla fine del millennio scorso quando l’esasperazione tattica costrinse il calcio fantasia a stare entro certi limiti e certi schemi prefissati.

La magia del tocco del 10 sembrava finita definitivamente condannata a sopperire di fronte al fuorigioco, al calcio geometrico e a movimenti imparati a memoria.

Brutto periodo per i talenti del pallone fagocitati anche dall’avvento della maglie personalizzate dei calciatori: dalla numerazione classica 1-11 si è passati all’anarchia del nome e numero per questioni prettamente di marketing.

La numero 10 non era più la maglia più cercata e venduta, quella capace di far sognare i bambini che la volevano a tutti i costi; diventando così una maglietta anonima al pari delle altre nonostante qualche strenuo tentativo di difesa della categoria che certi fantasisti hanno perpetrato con giocate uniche e inimitabili.

Totti, Del Piero di quel numero ne hanno fatto simbolo e bandiera giurando amore eterno alla propria squadra, mentre in altri club la dieci passava di mano in mano così come imposto dalle regole di mercato del calcio.

La 10 non era più la maglia del più bravo o del più talentuoso, quella più pesante da indossare perché carica di responsabilità, oneri e onori.

Tempi bui in cui al talento veniva preferito fisico, forza, disciplina e, soprattutto in Italia, essere straniero rappresentava un quid in più.

I numeri 10 come i jedi

Diciamo che all’epoca i numeri 10 potevano essere tranquillamente accostati ai maestri jedi che di sicuro i fans di Guerre Stellari ricorderanno: maestri dalla saggezza infinita, col potere di dominare la forza, di soggiogare le menti altrui e non farsi corrompere dal lato oscuro della forza che sfociava in rabbia odio e violenza.

Stessa cosa si poteva dire dei trequartisti del tempo capaci di dominare la palla e lo spazio, capaci di segnare in modi incredibile e fornire assist che solo i jedi della pedata sapevano fare.

E se nei film di Lucas, ad un certo punto i jedi venivano esiliati dalle manie egemoniche dell’Impero, negli anni ‘90 il 4 4 2 di sacchiana memoria confinò le mezze punte in panchina, facendo del calcio uno sport organizzato in cui era vietato uscire dalle righe, quasi dimenticando del tutto il fattore gioco che nei numeri dieci ha sempre trovato la sua incarnazione.

Il ritorno del 10

In punta di paragone, se nella prima trilogia del film Luke Skywalker divenuto maestro jedi torna e salva la galassia, possiamo dire che agli inizi del nuovo millennio un folletto argentino col numero  10 sulla maglia blaugrana del Barcellona ha restituito al calcio il suo spirito di gioco, estro, imprevedibilità e fantasia scardinando così ogni schema e ogni teoria sul calciatore che deve essere per forza alto e potente.

Maglia ereditata a sua volta da un certo Ronaldinho, uno che in partita rideva sempre facendo le cose più difficili con la naturalezza propria solo dei grandi campioni.

Quel Barcellona era probabilmente una squadra di maestri Jedi che ha restituito al calcio la sua essenza e Leo Messi, il piccolo folletto argentino divenuto a sua volta maestro, si sta per giocare un mondiale contro il suo erede, il francese Kilyan Mbappè, in quella che può essere una nuova saga dal titolo “Il 10 vince e diverte ancora”.

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