Il ritratto secondo Newman (prima parte)

Del loro lavoro e delle loro immagini, ho sempre pensato, che siano i fotografi a parlare, piuttosto che i critici. Dai primi ho sempre imparato tanto, mentre delle analisi dei secondi non ci ho mai capito molto, a volte niente. D’altro canto è vero che esista il desiderio di tanti artisti di farsi scrivere, in occasioni di mostre o rassegne, saggi critici riguardo le loro opere, ma non ne ho mai compreso l’ansia. Inoltre bisogna dire, ma lo sanno tutti, che questi saggi sono quasi sempre pagati e più il critico è famoso, più la parcella è salata. Certo, la giusta mercede agli operai ecc. ecc., ma vai a capire quanto l’apprezzamento sia veritiero.

Nell’argomento di questa puntata di fotosofia sta il perché di questa mia introduzione: presentare Arnold Newman, il fotografo americano, per tutti, padre del cosiddetto ritratto ambientato. Per prepararmi mi sono basato, in massima parte, su due libri, il primo: ‘Anrold Newman’ edito da Taschen nel 2000, e il secondo: ‘Arnold Newman at work’ edito nel 2013 dal dipartimento di fotografia ‘Harry Ransom Center’ dell’Università del Texas. Detto tra parentesi il suddetto centro dell’Università del Texas conserva, nella sua collezione, quella che Helmut e Alison Gernsheim considerarono la prima fotografia della storia: ‘Point de vue’, l’immagine scattata nel 1827 da Niépce dalla finestra della sua casa a Chalon-sur-Saône. Tutti i due volumi hanno un ricco apparato di immagini, ma è soprattutto il secondo che raccoglie, scritti, appunti e memorie del fotografo americano.

Arnold Newman, autoritratto nella sua camera oscura, Miami Beach, 1943
Arnold Newman, autoritratto nella sua camera oscura, Miami Beach, 1943

Arnold Newman nasce nel centro di New York, a Manhattan, nel 1918, proprio quando inizia una profonda crisi finanziaria della sua famiglia. Il padre, Isidor, proprietario di un’azienda di abbigliamento, aveva concluso qualche tempo prima un grosso contratto per uniformi con la Marina degli Stati Uniti. Con la fine della guerra non se ne fece niente e di tutta la stoffa acquistata non ne fece niente pure lui. Isidor non si dà per vinto e si sposta con la famiglia un poco più a sud, ad Atlantic City, dove apre un piccolo negozio di frutti secchi.

La cosa funziona poco e vende l’attività proprio nel 1929. Con qualche risparmio in banca la famiglia pensa di stare tranquilla per un po’ di tempo, ma un giovedì di ottobre cambia tutto, crolla la borsa, le banche chiudono e gli Newman si ritrovano: “Senza un centesimo in tasca.” Arnold ha da poco compiuto 10 anni e questo periodo di difficoltà finanziarie lasciano un segno indelebile. È sempre stato preoccupato per il denaro, anche quando le sue foto iniziarono ad avere successo: “Sono cresciuto nella Depressione quando mio padre ha perso tutto. Eravamo letteralmente senza un soldo, in particolare quando le banche hanno chiuso. Quindi ho ancora quella psicologia della depressione”.

Nonostante le difficoltà la famiglia lo spinge, fin da piccolo, a studiare pittura ed arte. Si diploma alla Miami Beach High School nel 1937 e subito si iscrive all’università della città della Florida con una borsa di studio d’arte, contemporaneamente si arrangia per guadagnare qualche spicciolo organizzando lezioni, dipingendo scenografie per il teatro dell’università e lavorando anche in una libreria. Inizia a interessarsi di fotografia e scatta soprattutto dei ritratti alla gente che trova per strada.

Le difficoltà economiche e la precaria salute del padre chiedono, però, un conto più salato e Arnold è costretto lasciare l’università. Mentre passeggia sul lungomare molto indeciso sul suo futuro incontra Leon Perskie, un amico di famiglia che gestiva alcuni studi di ritratti nei magazzini Lit Brothers di Filadelfia: “Stavo cercando di decidere cosa fare e mi trovavo ad Atlantic City, Leon mi chiese: «Cosa fai Arnold?». E io risposi: «Non so se tornerò a scuola l’anno prossimo». Lui disse: «Ti darò un lavoro, se vuoi». Erano sedici dollari a settimana. Facevo foto, vendevo foto, mescolavo prodotti chimici, imparavo a ritoccare, tutto”.

A Filadelfia ritrova un amico d’infanzia, Ben Rose, con cui condivide una stanza in affitto e una piccola camera oscura. Rose frequentava la Philadelphia School of Industrial Arts e nei corsi di fotografia, tenuti da Alexey Brodovitch, il potente futuro direttore artistico di Harpers Bazaar, studiava con Louis Faurer, Sol Mednick e Irving Penn. Uscivano la sera per scattare le loro fotografie e, una volta chiusi in camera oscura, sperimentavano qualsiasi cosa con acidi e carte da stampa: “Ho iniziato a sperimentare le astrazioni, il realismo astratto e il realismo sociale, se si vuole dare una definizione univoca. Sono rimasto affascinato dal controllo della macchina fotografica e dalla capacità di farle vedere quello che vedevo io…” Comprano riviste come Vanity Fair e Life, ne ritagliano e ne conservano le immagini: “Molte le devo ancora avere da qualche parte incollate su dei quaderni.”

Ma il lavoro che li affascina di più è quello dei grandi fotografi della Farm Security Administration: Walker Evans, Jack Delano, Dorothea Lange, Marion Post Wolcott e Arthur Rothstein: “Qualcuno era andato a New York – ricorda Newman – ed era ritornato con il libro della prima mostra di Walker Evans al MoMA del 1938, ‘American Photographs’”. In una delle sue prime immagini scattata a Filadelfia nel 1938: ‘Mother and child’, una donna di colore allatta il suo bambino, e il rimando alla ‘Madre migrante’ di Dorothea Lange è immediato, segno inequivocabile della forte influenza della F.S.A.

Newman, Mother and child,Filadelfia,1938
Newman, Mother and child,Filadelfia,1938

In una immagine successiva, d’altro canto, Newman inizia a collocare le persone all’interno dell’ambiente, come si vede in un’immagine scattata l’anno successivo in Pennsylvania: ‘Man and ladders against a wall’. È il segno dell’inizio di quello stile che contraddistinguerà tutto il suo lavoro futuro.

Newman, Wall And Ladders Philadelphia PA 1939
Newman, Wall And Ladders Philadelphia PA 1939

Nell’estate di quell’anno raccoglie i suoi lavori in una cartella e, un po’ come uno scolaretto, se ne va a New York al 509 di Madison Avenue per incontrare Alfred Stieglitz nella sua galleria ‘An American Place’. Newman era un po’ timoroso perché in molte stampe era intervenuto con un ritocco a volte pesante: “Non mi interessa cosa hai fatto o come l’hai fatto – gli rispose Stieglitz – mi interessa solo l’immagine finita.”

 

Neuman, Alfred Stieglitz e Georgia O'Keeffe, 1944
Neuman, Alfred Stieglitz e Georgia O’Keeffe, 1944

Andando avanti nell’analizzare il suo lavoro mi sono accorto di quanto sia stato importante questa considerazione, ma lo vedremo insieme. Continua a lavorare negli studi commerciali dove: “Ogni negativo doveva essere assolutamente identico agli altri, in modo che potessero essere sviluppati tutti allo stesso modo e gli stampatori non avrebbero dovuto alzare e abbassare l’ingranditore.” Il momento di cambiare tutto arriva nel 1941 quando con: “Due anni di lavoro, desideri, sogni… nascosti sotto il braccio.”, se ne torna a New York per incontrare Beaumont Newhall, curatore della sezione fotografica al Museo d’Arte Moderna. Le fotografie piacciono: “Sono insolite e fantasiose. Ma devi imparare cos’è una buona qualità di stampa.” Perdonate l’inciso, ma mi viene in mente quando andai, nel lontano 1982, da Vasco Ascolini a mostrargli alcune stampe e lui mi disse: “Dieci in ripresa e zero in stampa.”, più o meno la stessa cosa, ma dopo poco tempo il Comune di Reggio organizzò ‘Ritratti Urbani’, la mia prima mostra al Palazzo del Capitano del Popolo in centro a Reggio. Ne organizzarono una anche a Newman, ma alla A.D. Gallery in centro a New York e Beaumont Newhall gli comprò un bel po’ di stampe da conservare nel suo museo, io invece non ne vendetti alcuna, ma così va il mondo. Con i soldi ricavati si compra una Meridian 4×5 pollici con ottica da 90 mm., e questo cambiò tutto.

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