La povertà un valore sballato nell’organismo del nostro paese

Desidero ringraziare innanzitutto la Caritas per questo Rapporto che aiuta tutti, non soltanto la  Caritas, a capire e a spiegare agli altri quello che fa, a rendersi conto di quello che si fa già e che  dobbiamo fare tutti, perché sia anche lo stimolo a fare di più. 

Il problema non è soltanto cercare di fare quello che si può, ma bisogna fare quello che serve, quello  che si deve, quello che ci viene chiesto, quello che è necessario per rispondere alle tante domande. 

Questa è la consapevolezza che viene dalla lettura di un Rapporto ricco di dati, di storia anzitutto,  di storia di persone, che sono quelle che voi conoscete, sono quelle che accompagnate in alcuni casi  anche da tanto tempo.

Qualche anno fa mi colpì nel Rapporto proprio una certa cronicizzazione nei Centri d’ascolto, cioè il fatto che ci siano persone che continuano a venire anche dopo essere state  accolte e aver trovato una soluzione ai loro problemi, senza dimenticare quelle persone che invece  prendono altri itinerari.

È un Rapporto preoccupante, che ci deve aiutare a scegliere e a vivere  consapevolmente le settimane e i mesi difficili verso cui andiamo incontro, che richiedono e  richiederanno tanta solidarietà, delle risposte rapide, perché la sofferenza non può aspettare, non  deve aspettare, ma anche delle risposte che sanno guardare al futuro.

Per guardare al futuro però  dobbiamo capire bene il presente, altrimenti ci accontentiamo di alcune enunciazioni, oppure la  visione del futuro resta del tutto staccata dai dati reali. Di qui la grande utilità del Rapporto, delle  indicazioni che offre e quindi della visione che richiede. 

Dati, non parliamo di previsioni, di ipotesi, ma di dati. Qualche volta abbiamo una sorta di rimozione  immediata per cui ascoltiamo alcuni dati e pensiamo “ma poi alla fine non è proprio così”, oppure  “è così, va bene”, ma poi continuiamo come prima. 

Il Rapporto non ci può far continuare come prima. È come se a me dicessero: “Guarda, tu hai i valori  sballati”, allora devi andare dal medico e ti fai curare.

Questi valori sono sballati, perché vedere che  quasi sei milioni di persone sono in povertà assoluta è un valore sballato nell’organismo del nostro Paese, che richiede quindi, ovviamente, dei cambiamenti, delle terapie, delle scelte, perché se  continuiamo ad avere un dato così tutto l’organismo si ammala.

Non è un problema di quelle  persone per cui cerchiamo di fare qualche cosa, è anche una difesa di tutto l’organismo.

La “Fratelli  tutti” e anche la consapevolezza del Covid ci aiutano a capire che non va bene accettare che ci sia  un numero così alto di poveri. 

Certo, è vero che la crisi energetica e quindi tutti gli aumenti dei costi e l’inflazione accentueranno  queste condizioni di povertà estrema, ma quindi, a maggior ragione, dobbiamo essere ancora più  fermi nell’indicare le soluzioni, anche nell’emergenza. I dati li ascolterete e saranno commentati.

Alcuni dati che mi hanno molto colpito sono quelli che riguardano il problema dei giovani, del sud,  dell’educazione, cioè di come la povertà diventa ereditaria. Per spezzare l’anello, oppure per unire,

perché il Rapporto si chiama “L’anello debole” e l’anello debole lo devi rendere forte altrimenti si  spezza tutta la catena. L’anello debole lo rendi forte ristabilendo l’educazione o investendo  seriamente sull’educazione.

I dati che ascolterete sui giovani e sulla povertà intergenerazionale  sono davvero preoccupanti e richiedono a tutti quanti noi di fare qualche cosa perché l’educazione  non è soltanto quella in termini tecnici, cioè di aiutare, quella di don Milani, quella di dare la parola,  di aiutare a non essere esclusi dalla scuola – e l’abbandono sappiamo che è molto alto,  incredibilmente alto – ma è anche l’investimento sulla persona, la rete di educazione che è quel  famoso villaggio che almeno le nostre comunità devono rappresentare e rappresentano per  chiunque.

Un villaggio educativo, anche in termine tecnico – insisto – nel dare la fiducia e la  possibilità di continuare a studiare, i mezzi per continuare a studiare e per rafforzare quell’anello  sempre debole mentre l’ascensore sociale è guasto, è rotto da tempo – e pochi sono interessati ad  aggiustarlo, mi sembra.

C’è poi l’educazione che non viene garantita e che perpetua, quella che è  quasi come una povertà ereditaria. Per questo c’è una dimensione che viene sottolineata, la  dimensione sociale, la territorialità, la rete che si deve ricreare.

Io penso che questo sia un grande  compito delle nostre comunità e quindi delle Caritas che – ripeto qualcosa di già detto – non sono  l’agenzia a cui noi esternalizziamo il compito della carità, perché la carità non si esternalizza.

Voi  sapete che nelle aziende per risparmiare si esternalizza, ma noi non possiamo esternalizzare perché  saremo e siamo interrogati su questo e la carità coinvolge tutti e le Caritas devono aiutare a  coinvolgere tutti quanti. 

Un’ultima cosa che mi ha colpito – e speriamo che il governo sappia affrontarla con molto equilibrio  – è il problema del reddito di cittadinanza che è stato percepito da 4,7 milioni di persone, ma  raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti.

Quindi c’è un aggiustamento da fare ma  mantenendo questo impegno che deve essere così importante in un momento in cui la povertà sarà  ancora più dura, ancora più pesante e rischia di generare ancora più povertà in quelle fasce dove si  oscilla nella sopravvivenza, che devono avere anche la possibilità di uscire da questa “zona  retrocessione”.  

Nei momenti di crisi, a maggior ragione, dobbiamo mostrare che cosa significa essere cristiani.

E questo richiede due cose: avere un cuore pieno dell’amore di Cristo e, proprio per questo,  riconoscere Cristo e avere noi un cuore pieno di amore per i tanti “poveri cristi “che incontriamo  nelle nostre strade, che andiamo a trovare nelle case e che devono trovare un porto nelle nostre comunità.

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