Continuano le rassegna culturali dedicate al Grande Fiume. La mostra “Gino Gandini Il Richiamo del Po”, allestita nelle Sale dell’Ottocento al Piano Nobile di Palazzo Ducale, a cura di Sandro Parmiggiani, sarà visitabile fino al 5 giugno 2022 nei seguenti giorni e orari di apertura:
Mercoledi, Sabato e Domenica 9.30 – 12.30 e 15.30 – 18.30. Ingresso gratuito.
PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA A CURA DI SANDRO PARMIGGIANI
“Ricorrono, in questo 2022, i centodieci anni dalla nascita e i vent’anni dalla morte di Gino Gandini (Reggio Emilia, 2 novembre 1912 – 25 luglio 2002), uno dei più importanti artisti reggiani del secolo scorso; il Comune di Guastalla gli rende omaggio con una mostra dedicata ai suoi paesaggi del Po, dipinti per tutta la vita. Mai s’affievolirono, in lui, il richiamo e il fascino del Grande Fiume, cui costantemente si recava, in una sorta di pellegrinaggio, partendo da Reggio in bicicletta nei primi anni del dopoguerra e poi in auto.
Stanislao Farri, il grande fotografo reggiano scomparso l’anno scorso, amico di Gandini fin da quando si erano conosciuti, nel corso della guerra, a Bibbiano (dove il pittore era sfollato), ha ricordato di averlo incontrato mentre dipingeva en plein air, in piedi o seduto al cavalletto, talvolta riparandosi dal sole cocente sotto un ombrello, davanti a uno scorcio del Po (a Guastalla e a Boretto, vicino a un’ansa o alle cave di sabbia) o sulla sommità di una collina dell’Appennino reggiano. Farri batteva gli stessi luoghi per scattare le sue fotografie; in verità ci sono alcune immagini, soprattutto del Po, in cui l’occhio del pittore e quello del fotografo paiono del tutto sovrapponibili.
Gandini amava, del Po, la visione delle acque che scorrono e si perdono nella lontananza, immerse nel silenzio di una natura avvolta dai vapori che l’acqua genera e dalla luce che riverbera: momenti in cui la persona, una porzione minuscola del grande spazio che ovunque si respira, trova, nel rapporto con la natura, i momenti di verità.
Nei paesaggi del Po, intrisi di una latente malinconia esistenziale, Gandini sintetizza, e rende in toni lievi, le forme che stanno davanti a lui. L’artista ha indagato il volto delle nostre terre nel mutare delle luci e delle stagioni, con una sorta di taglio fotografico e con un occhio “orientale” che punta all’essenza, consentendoci di finalmente “vedere” il nostro paesaggio, troppe volte fuggevolmente guardato senza mai penetrarne l’autenticità e la bellezza segrete.
Sarebbe sbagliato definire Gandini un pittore “realista”: lui non si limitava a “riprodurre”, magari esasperando qualche elemento, ciò che aveva davanti agli occhi, ma tendeva all’essenziale, per ricercare e ordinare, dentro il grande libro della natura, i rapporti tra pieni e vuoti, tra spazio e forma, nella sinfonia degli infiniti accordi tonali possibili.
Gandini aveva introiettato, fin dagli anni all’Accademia di Bologna, la lezione di eleganza formale e di armonia dei toni di Morandi, e l’ossessione della luce di Guidi – Gandini sarebbe stato amico del maestro veneziano fino alla sua morte –, e ha dimostrato di non essere insensibile ad altre ricerche – si pensi al Nicolas De Staël dei dipinti ultimi, in cui la forma non è che un fiotto danzante di colore-luce, e a certi esiti di Roberto Melli.
Di Gino Gandini la mostra presenta inoltre un autoritratto mentre dipinge in riva al Po, una natura morta e uno scorcio della collina reggiana innevata – a Bergonzano (Quattro Castella) lui e la moglie Rina Ferri, pittrice di sensibilità e talento, scelsero di costruirsi una piccola casa. Inoltre, la mostra presenta un ritratto inedito di Gandini raffigurante Antonio Ligabue sul letto dove giace, nel 1965, prima della morte, avvolto nelle ossessioni e nei tormenti che segnarono la sua vita: Gino conosceva Antonio e ne stimava l’opera – acquistò una sua scultura in terracotta e lo raffigurò in alcune incisioni, tecnica in cui Gandini fu davvero un petit maître”.
Sandro Parmiggiani