Alla fine dei conti

Il mondo dello sport piange la scomparsa di Mino Raiola, l’agente dei calciatori più influente e potente del pianeta calcio. È noto come Raiola abbia profondamento cambiato il ruolo del procuratore calcistico, non più un tramite tra società e giocatori, ma un vero e proprio lobbista nella collocazione dei calciatori tra i club di tutta Europa e non solo.

Attraverso il procuratore passa l’ingaggio di un giocatore e quando a garantire per te è un certo Mino Raiola si sa di per certo che l’affare economico è garantito. Cifre alla mano negli ultimi 10/15 anni le commissioni per le prestazioni di questi professionisti sono letteralmente schizzate alle stelle.

Oggi poter contare su un buon procuratore è senza dubbio un vantaggio per ogni calciatore che trova spazio in questa o quella squadra grazie all’abilità del proprio manager. Se si bazzica un po’ nei campetti dei campionati giovanili professionisti, soprattutto in questo periodo, spuntano come funghi tanti procuratori che avvicinano mamma e papà del talentino di turno pronti ad offrire “opportunità”.

Dal punto di vista professionale Raiola è inattaccabile: emigrato italiano in cerca di fortuna all’estero inizia dalla gavetta più profonda fino a diventare il più bravo di tutti i procuratori di calciatori.

Nella sua scuderia figurano personaggi come Pogba, Balotelli, Donnarumma, Ibrahimovic… gente che col pallone non è affatto sprovveduta, così come non era affatto sprovveduto Raiola nell’andare a bussare alle porte delle dirigenze di tutto il mondo.

Chi non ricorda il braccio di ferro col Milan per il trasferimento del portiere della nazionale al Paris Saint Germain?

Sicuramente avere come biglietto da visita un agente come lui non poteva altro che essere un buon punto di partenza per ottenere un buon ingaggio.

Ma guardando questo personaggio dal punto di vista etico o morale, cosa ha seminato nel mondo del calcio? Cosa è rimasto di lui se non la figura di un affarista, a volte arrogante e sprezzante di ogni cosa pur di centrare l’obiettivo.

L’etica, almeno teoricamente o per iscritto in qualche regola, fa ancora parte del mondo dello sport. Anzi dovrebbe esserne la trave portante: lealtà, rispetto, trasparenza sono le parole che quotidianamente insegniamo ai più piccoli quando si affacciano per la prima volta sui campetti di calcio.

Eppure, ad un certo punto, tra etica e morale cresce quella “zizzania” chiamata interesse o business. E i sopracitati “funghi” diventano squali.

Attorno a un calciatore e alla loro famiglia si sviluppa un giro di denari talvolta smisurato che arricchisce non solo l’atleta ma anche chi lo rappresenta. E questo è il punto: fin dove può spingersi un procuratore per sete di guadagno suo e del suo “cliente”? In che modo un calciatore diventa una “gallina dalle uova d’oro”?

Forse al raiolismo va imputato il fatto di aver stravolto il sogno di ogni bambino: da diventare semplice calciatore, oggi si vuole diventare famosi e ricchi, perché il messaggio che passa è che più sei furbo, ricco e prepotente e più successo hai. Magari senza fare fatica proprio grazie a personaggi come Raiola.

Prendendo il caso di Balotelli, il più grande talento inespresso del nostro calcio, la promessa mai mantenuta, in che modo è stato aiutato?

Tutti i giocatori vedono il proprio procuratore come un padre, a maggior ragione se questo, come ha fatto Raiola, ti ricopre d’oro. Chi a vent’anni, firmando contratti a sei zeri, si azzarderebbe a contestare le scelte del proprio procuratore? Chi davanti ai facili milioni per sé e per i propri famigliari, si pone la domanda se umanamente è giusto o no permettere al business di prevaricare su crescita, sacrificio e principi. Il diventare uomini non si compra al calciomercato. Uomini si diventa attraverso le proprie scelte.

Probabilmente per quello che ne sappiamo, davvero il re degli agenti è stato un secondo padre per i suoi calciatori: chissà se e quali consigli avrà dato a Balotelli o a Donnarumma davanti ai loro dilemmi dalle cifre altisonanti e alle loro ambizioni sportive.  

Non sapremo mai se nel consigliare i suoi ragazzi Raiola abbia ripensato ai suoi inizi, a cosa significhi sudarsi un tozzo di pane lontano da casa, cosa voglia dire vivere con dignità facendo fatica ad arrivare alla fine del mese.

Oggi di Balotelli ricordiamo di più le sue cavolate e le sue macchine incidentate che le sue prodezze in campo.

E alla fine dei conti la domanda è sempre la stessa: dopo la sua scomparsa, cosa rimane di Mino Raiola uomo? A parte ricordarlo come un gran businessman, per cosa altro verrà ricordato?

Accumulare così tanto potere e diventare il re dei procuratori a cosa è servito?

“Non provare a prenderli in giro, loro sanno la verità…” è il saluto social che Andrea Agnelli ha riservato a Raiola dopo la sua dipartita pensandolo al cospetto di San Pietro in Paradiso.

E forse è la frase migliore per descrivere l’agente più influente e abile della storia, ma non so se sia davvero stato il più bravo.

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