Agli inizi del 2017, nella mia rubrica online, ho scritto brevemente su un fotografo da cui non può prescindere chi si interessa di fotografia: August Sander (Herdorf, 17 novembre 1876, Colonia, 20 aprile 1964). Riprendo l’inizio del mio pezzo di allora, con l’intenzione di cercare di analizzare più profondamente la straordinaria storia di questo artista tedesco.
A metà degli anni ’80 Franco Battiato, che in precedenza aveva dichiarato di volersi dedicare esclusivamente alla lirica, durante la stesura della sua seconda opera dal titolo ‘Gilgamesh’, aveva scritto diversi pezzi che poco si adattavano al melodramma e decise, nel 1988, di incidere un nuovo album dal titolo ‘Fisiognomica’. Il disco ebbe subito un grande successo, tanto che un anno dopo ne eseguì tre pezzi in Sala Nervi alla presenza di Giovanni Paolo II: ‘E ti vengo a cercare’, ‘L’Oceano di silenzio’ e ‘Nomadi’, quest’ultimo testo e musica di Juri Camisasca.
Fisiognomica dunque, disciplina mai riuscita ad elevarsi al rango di vera o propria scienza, che vorrebbe ricavare dall’aspetto fisico di una persona il suo carattere, la sua psicologia e le sue tendenze.
Questa pretesa era nota fin dai tempi di Aristotele, sembra proprio che il filosofo greco ci vada sempre di mezzo, ma anche artisti geniali come Leonardo e Michelangelo se ne appassionarono. A Reggio la conosciamo per via di un certo Cesare Lombroso, a cui fu dedicato un padiglione del vecchio manicomio San Lazzaro: lui la utilizzò abbondantemente per catalogare, nel caso sarebbe meglio dire schedare, le tendenze dell’essere umano.
August Sander nasce a Herdorf, una piccolissima cittadina a meno di 100 chilometri dalla vecchia capitale Bonn. Il mondo che lo accoglie è un solido ambiente familiare, popolato da piccoli agricoltori, dalle miniere di ferro e da qualche modesta industria. Un mondo che non è ancora stato toccato dalla rivoluzione industriale che stava trasformando le grandi città. Il padre, carpentiere di professione, possedeva una masseria e anche una miniera ferrosa per cui godeva di un certo patrimonio.
August ci va a lavorare quando compie 14 anni e ricorderà questo periodo per tutta la vita come un idillio intatto: “La Sottersbachtal (a sud di Herdorf, nfr) è una valle stretta e bella, chiusa da montagne coperte di boschi… Ad ogni stagione i colori di questo paesaggio leggiadro cambiano… Ogni giorno portava nuove esperienze” (A. Sander, ‘Mein Werdegang als Photograph’, 1950).
La partenza per il servizio militare nel 1896 interrompe l’idillio, tagliando per sempre il cordone ombelicale che lo legava a quell’ambiente. Già da tempo coltivava la passione per la fotografia, passatempo quanto mai stravagante per le condizioni di Herdorf, grazie alla benevolenza di uno zio danaroso.
Il servizio nella caserma di Treviri gli lascia del tempo libero per seguire un po’ di apprendistato nello studio Jung, che gli rilascia una specie di attestato. Con questo in mano, terminato in servizio militare, passa due anni fra Magdeburgo, Halle, Lipsia e Berlino per fare esperienze in varie aziende fotografiche. Gli anni di tirocinio finiscono quando entra come ‘primo operatore’ nell’ “Atelier Greif” di Linz il primo gennaio del 1901, divenendone non molto tempo dopo, grazie all’aiuto di un prestito, titolare. In pochi anni Sander passa da contadino-minatore di campagna a piccolo impresario di città. Nell’atelier i suoi ritratti si conformano allo stile del tempo, le immagini sono sfumate da obiettivi particolari, i difetti vengono nascosti dal ritocco, insomma i soggetti, più che essere, vogliono apparire e lui li accontenta.
Il pittorialismo tuttavia non lo convince; in una cartella saggio inviata ai clienti, datata 1907, scrive: “Le mie riprese fotografiche sono lavori che si staccano vantaggiosamente dal tipo finora consueto… mi sforzo di esprimere anche ciò che di caratteristico le inclinazioni, la vita e l’epoca hanno scritto sul volto e che forniscono quindi ritratti somiglianti, espressivi e caratteristici, in tutto corrispondenti all’indole della persona fotografata”. Ecco spiegato meglio che con le mie parole cosa c’entra la fisiognomica.
Lo studio di Linz va a gonfie vele, le sue fotografie gli procurano due medaglie d’oro a Wels e a Parigi e un premio a Lipsia, anche i giornali ne tessono gli elogi: “Questa volta – scrive il ‘Linzer Tagespost’ nel 1903 Sander ha fatto centro. Nel ritratto questo maestro è arrivato alla perfezione”. Tuttavia, per ragioni non chiare, nel 1909 decide di trasferirsi a Colonia.
Qui non succede la stessa cosa, l’ambiente notabile renano della città non gradisce le sue fotografie ‘semplici e naturali’, preferendo il ‘classico stile artistico’. Il suo atelier entra in crisi e Sander è costretto a cambiare mira. Inizia a viaggiare verso le fattorie del Westerwald, fra le montagne sulla riva destra del Reno, dove le sue immagini, al contrario, hanno un grande successo.
Sono gli anni in cui progetta ‘Uomini del XX secolo’. Inizia a cercare instancabilmente figure sociali tipiche in un ambiente autentico: medici, avvocati, insegnanti facevano già parte dei frequentatori del suo atelier. Aveva accesso, grazie alla sua clientela, alle grandi fabbriche di Colonia per realizzare i ritratti dei lavoratori, ma anche dei proprietari e dei direttori. Grazie al figlio Erich, iscritto al partito comunista, entra in contatto con gli ambienti di sinistra. Nel 1927 Sander prepara, con il materiale raccolto, una mostra al Kunstverein di Colonia. L’esposizione ha una certa risonanza, e nel mese di novembre Sander mette nero su bianco il suo progetto e scrive “Uomini del XX secolo – Opera culturale in fotografia, suddivisa in sette gruppi, catalogata secondo le classi sociali e comprendente circa 45 antologie… Niente mi sembra così appropriato come rappresentare, attraverso la fotografia, un quadro del nostro tempo in tutta la sua fedeltà.” La nostra amica, la fisiognomica, a questo punto diventa il ritratto di tutta la nazione tedesca.
Due anni dopo per i tipi di Kurt Wolff esce, presentato da Alfred Döblin, ‘Antlitz der Zeit’, (Volti contemporanei, ndr), con una selezione di 60 ritratti scelti dallo stesso Sander (l’editore Mazzotta ne farà uscire una fedele riproduzione nel 1979 con il titolo ‘I volti della società’). La fotografia, nei tempi immediatamente precedenti l’ascesa al potere del Nazionalsocialismo, era considerata un genere d’arte relativamente ‘nobile’ e il libro ha un buon successo di critica, un po’ meno di pubblico. Sander viene invitato a tenere una serie di conferenza alla radio di Colonia dal titolo “L’essere e il divenire della fotografia”.
Nei suoi interventi tesse le lodi del dagherrotipo e delle stampe al collodio, definiti come la massima perfezione artigianale, per arrivare alla comparsa degli studi commerciali che diedero l’avvio al kitsch.
I suoi interventi sono quindi contro la ‘fotografia pittorica’ e sempre a favore della ‘fotografia esatta’, i manoscritti si sono miracolosamente conservati e così definisce la prima: “…fu un errore che portava in sé i germi della morte, in quanto non era costruita sul processo chimico-ottico della fotografia… solo imboccando la strada di una chiara fotografia della realtà furono possibili nuovi progressi. Il movimento dell’oggettività emerso nel frattempo e che si presentava come un movimento di reazione, seppe sfruttare i progressi della fotografia e riuscì, così facendo, a superare la pittura.”
Mi sembra di ripassare la storia di fotografi del calibro di Stieglitz, Steichen o addirittura di Weston; pure loro infatti abbandonarono prima o poi le immagini che scimmiottavano i pittori e come mi risuonano valide oggi, pensando al fotoritocco o alla post-produzione, le parole di Sander.
L’ascesa al potere dei nazisti interrompe quello che Sander definirà come il suo periodo più felice. Non viene più invitato alle mostre di fotografia, i cliché tipografici di ‘Antlitz der Zeit’ vengono distrutti, le copie invendute sequestrate, il figlio finisce in carcere per aver distribuito volantini comunisti, fra l’altro riprodotti fotograficamente dal padre, insomma la sua attività è posta sotto stretto controllo da parte della ‘Reichskunstkammer’ (Camera delle Belle Arti del Reich, ndr).
È costretto ad abbandonare, solo di fatto, l’avanzare della sua ricerca, si dedica alla fotografia di paesaggio, nasconde nella cantina della sua casa di Colonia 40.000 negativi, 30.000 dei quali verranno distrutti, qualche anno dopo, da un incendio, e nel 1939 inizia a trasferire la famiglia a Kuchhausen, un paesino in mezzo alle amate montagne del Westerwald. Ci va ad abitare stabilmente dal 1942, provvede a sistemare i 10.000 negativi che è riuscito a salvare e ricomincia a lavorare per terminare il suo progetto.
Ci si dimentica di lui fino al 1951 quando alla Photokina di Colonia, la prima edizione di quella che diventerà la più importante fiera di fotografia del mondo, decide di esporre alcune delle sue immagini. Immediatamente lo Stadtmuseum della città si interessa al suo lavoro e decide di acquistarlo in toto.
Lui chiede però 25.000 marchi, un bel po’ per quei tempi, e molti si domandano se vale la pena spendere tutti quei soldi per delle fotografie; com’è come non è, il museo riesce a condurre in porto l’acquisto e oggi l’intero corpo è un vanto per la città.
La sua fama però varcherà i confini nazionali solo nel 1969, quando John Szarkowski gli dedica una personale al MoMA di New York; purtroppo il nostro August era morto quattro anni prima e non potrà godere dell’immortalità acquisita dalle sue immagini.
Questo monumento della fotografia mondiale, nato in mezzo ad agricoltori e minatori della campagne tedesca, lo ritrovo sempre nelle immagini dei grandi ritrattisti della seconda parte del ’900, dove la sua intuizione della ‘fotografia esatta’ trova la sua celebrazione.