Specializzato nel generico

Credo non ci sia altro modo per meglio definire le caratteristiche di un fotoreporter, me lo sono detto sempre anch’io durante i trent’anni che ho passato a scattare immagini per quotidiani e settimanali.

Il fatto è che un giorno devi fare il ritratto ad un personaggio famoso, il giorno dopo ti mandano a documentare un incidente stradale e quello dopo ancora l’arrivo in città del presidente della Repubblica e poi una conferenza stampa o un funerale, una rapina in banca o l’imputato di un processo in Corte d’assise, le conseguenze di un terremoto o un concerto di Bono Vox… infine, se lavori per un quotidiano, con la macchina fotografica ci vai anche a letto, perché ti chiamano a tutte le ore.

Ho sempre pensato anche che sia la miglior scuola per un fotografo, primo perché la fotografia la devi sempre portare a casa e secondo perché le tue immagini sono sempre sotto l’esame del giornalista che deve comporre l’articolo o, nel caso di un settimanale, del grafico che deve inserire una serie di fotografie a corredo del servizio e, statene pur certi, se scatti solo in orizzontale ne serve una verticale o viceversa.

Un breve excursus per introdurre Mario De Biasi (1923-2013), considerato da tutti il papà dei fotoreporter italiani e definito da Italo Zannier ‘Il Capo italiano’ come a fare il verso al fotografo ritenuto un po’ da tutti l’antesignano dei fotogiornalisti: Robert Capa.

Mario De Biasi

Nasce a Sois, a due passi dal centro di Belluno, il 2 giugno 1923 da una famiglia povera; il papà emigra in Svizzera per lavoro, ultimo di cinque fratelli. A dieci anni viene a mancare la mamma e Mario è affidato a una zia per aiutarla nel lavoro nei campi. Nel 1938 una sorella lo ospita a Milano e l’anno successivo inizia a lavorare per la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni. Ci rimane finché nel 1944 incappa in un rastrellamento tedesco vicino a Piazzale Loreto e viene deportato a Norimberga per lavorare alla Siemens.

A guerra finita fra le macerie della città devastata dai bombardamenti trova un po’ di attrezzatura fotografica: è come una folgorazione e scoppia la passione. La famiglia che lo ospita lo capisce e gli regala una Welta 6×6, macchina a soffietto senza neppure il telemetro per la messa a fuoco che lui trasformerà in 4,5×6 per avere qualche fotogramma in più. Inizia a scattare immagini della città distrutta, le stampa e le raccoglie diligentemente in un album con le didascalie scritte in tedesco e in italiano. Il suo primo reportage, segno indiscutibile di un futuro già scritto.

De Biasi – 1945 Norimberga

Torna alla Magneti Marelli nel 1946, attrezza una camera oscura in un sottoscala, legge tutte le riviste di fotografia che riesce con fatica a trovare. Arrivano le prime soddisfazioni partecipando ai concorsi fotografici; si iscrive al Circolo Fotografico Milanase che nel 1948 gli organizza una mostra. I settantacinque 30×40 in b/n esposti non piacciono, capisce che la sua strada è un’altra. Continua però a fotografare con una Rollei 6×6 vinta a un concorso e inizia a pubblicare qualche fotografia sulle riviste di settore. All’inizio del 1953 chiede all’amico Gianni Hoepli di scrivergli una lettera di presentazione per Epoca, il neonato settimanale di cronaca di Mondadori. Gli comprano 10 fotografie per la bella somma di 100.000 lire ed il gioco è fatto.

Gli propongono un periodo di prova, lui non ci pensa due volte a licenziarsi dalla Marelli e in febbraio viene subito spedito in Olanda a documentare una devastante inondazione che travolge le difese marine dei Paesi Bassi. Epoca non pubblicherà le sue fotografie, ma già a settembre arriva la prima copertina che ritrae il maestro Arturo Toscanini in veste da camera mentre è in vacanza sul lago Maggiore.

La consacrazione definitiva arriva l’anno dopo quando gli chiedono un servizio per risollevare le sorti di Bolero Film, una rivista della Mondadori che non navigava in buone acque. Segue una giovane e procace Moira Orfei per le vie del centro di Milano, da questa idea nascono le fotografie indimenticabili della serie: “Gli italiani si voltano”.

L’immagine di Moira Orfei che attraversa la strada davanti al mitico Bar Zucca, all’angolo della Galleria Vittorio Emanuele, con gli occhi di decine di uomini fissi su di lei e sulle sue curve, è sicuramente una delle più conosciute di tutta la storia della fotografia italiana e non solo. Infatti nel 1994 è scelta dal Guggenheim di New York per il manifesto ufficiale della mostra “The Italian Metamorphosis, 1943-1968”.

De Biasi – 1954-Gli italiani si voltano

Nel 1956 il nome di Mario De Biasi varca con forza i confini dell’Italia con un altro servizio memorabile. Nella seconda metà del mese di ottobre sulle telescriventi dei giornali arrivano notizie dell’inasprirsi di una rivolta popolare di spirito antisovietico a Budapest.

Le principali testate e le maggiori agenzie europee mandano i loro corrispondenti verso la capitale ungherese e l’allora direttore di Epoca Enzo Biagi non ci pensa due volte a spedirci il giornalista Massimo Mauri con il nostro fotografo al seguito. Partono il 23 e dopo un viaggio a dir poco avventuroso, vengono fermati più volte da decine di posti di blocco, arrivano a Budapest il 29.

De Biasi e Mauri si trovarono davanti a violenti scontri che culminarono con l’assalto a una caserma dell’AVH, la polizia segreta ungherese, ove avvenne il linciaggio degli agenti catturati che da giorni sparavano sui manifestanti.

De Biasi – 1956 Budapest

In quei giorni Mauro De Biasi, armato di una Rollei 6×6 e di due Leica 35 mm con su montati un normale e un piccolo grandangolo, scattò 33 rulli, documentando tutto con freddezza, lucidità e senza nessuna parzialità, proprio come dovrebbe essere, ma non sempre lo è, il lavoro del fotoreporter.

Quei giorni di Budapest, soprattutto con l’arrivo dei blindati russi T 34 che posero fine alla rivolta, riempirono le pagine dei giornali per settimane, soprattutto perché le sinistre europee, con quella italiana in prima fila, esclusi alcuni intellettuali per la verità, difesero a spada tratta la discesa dei tank sovietici. Epoca ci dedicò 4 numeri e vendette le fotografie di De Biasi a una ventina di riviste in giro per il mondo.

Il resoconto di questo memorabile reportage è splendidamente sottolineato dal volume di Paolo Morello “Mario De Biasi Budapest 1956” edito dall’Istituto Superiore di Storia della Fotografia nel 2006. La mostra passò anche per la nostra città nel 2009 a Palazzo Magnani curata da Sandro Parmiggiani, quando la sala espositiva era sede di mostre che valeva veramente la pena di andare a vedere, ma questa, come si dice, è un’altra storia.

Nel 1983 arriva la pensione, da Epoca ma non dalla fotografie. Nel 2006 Sandro Parmiggiani andò a trovarlo a Milano per parlare della mostra che voleva organizzare a Palazzo Magnani, lo trovò sul suo terrazzo con la macchina fotografica in mano intento a fotografare pezzi di vetro colorati: “Sono straordinari – gli disse – lasciandoli al sole cambiano continuamente i loro colori e mi permettono sempre nuove composizioni”.

Infatti, come ebbe a dire in un’altra occasione, non è importante andare in capo al mondo per scattare delle buone immagini, queste si trovano anche dietro l’uscio di casa. A buon intenditor…

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