XXIII del Tempo Ordinario

1a lettura Is 35, 4-7
Si schiuderanno gli orecchi dei sordi, griderà di gioia la lingua del muto.
Dal Salmo 145:
Loda il Signore, anima mia.
2a lettura Gc 2, 1-5
Dio non ha forse scelto i poveri per farli eredi del Regno?
Vangelo Mc 7, 31-37
Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

Carissimi, l’episodio che oggi il Vangelo ci regala costituisce un dittico insieme alla guarigione del cieco di Betsaida che troveremo nel capitolo seguente in Marco 8, 22-26. Molto simile al brano odierno, anche se si riferisce alla guarigione di un cieco, ha in comune l’origine; infatti entrambi sembrano generati dalle due moltiplicazioni dei pani, con le quali il Signore nutre e usa misericordia al suo popolo.

Ebrei nel primo caso e pagani nella seconda moltiplicazione; infatti quest’ultima avviene nel territorio pagano della Decapoli; insieme rappresentano di fatto l’intero consorzio umano, che il Signore desidera salvare. I due miracoli compiuti da Gesù sembrano poi tendere e preparare la professione di fede di Pietro (Mc 8,29). Dunque cerchiamo di vedere il nostro episodio come momento preparatorio all’incontro del Cristo e alla nostra professione di fede. Guardiamo a Lui, l’uomo nuovo che il Padre ci invita ad ascoltare: “Questi è il figlio mio, l’amato, ascoltatelo!”(Mc 9,7).

In Lui si concentra e trova pieno esaudimento la missione di Israele chiamato ad essere il popolo dell’ascolto e della lode a Dio, popolo che si lascia plasmare dalla relazione con la sua Parola e che nella lode dovrebbe cantare i suoi prodigi e la sua elezione.
In realtà nella denuncia profetica questo popolo è ribelle, infedele e ha disatteso le speranze di Dio riposte in Lui. “Sordi ascoltate, ciechi volgete lo sguardo per vedere… hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto gli orecchi ma senza sentire” (Is 42,18;20).

Da questo popolo però germoglierà, nella pienezza dei tempi, il Figlio perfetto, l’ascoltatore che sempre ha l’orecchio aperto e compie le opere del Padre, perché costantemente rivolto a Lui e parlante con Lui. Di Lui dirà Isaia: “Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (Is 50,5).

Il testo del Vangelo rappresenta pertanto la contro figura del Figlio, l’uomo sordo e muto che, fuggito dal Paradiso, ha perso le connotazioni relazionali col Padre e si è chiuso in una solitudine assoluta.

Questa solitudine che l’uomo di oggi chiama libertà coincide con la sua autosufficienza e fuga, che lo allontana sempre più dalla sua origine. Solo l’incontro con Gesù potrà restituirgli la sua identità vera, che lo riconnette alla radice santa che lo ha generato. “Ascolta Israele…” (Dt 6,4) esprime il cuore della vita nella fede, come anche Paolo in Romani ci ripete: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la Parola di Cristo”. Ma come potrà avvenire la liberazione di quest’uomo se la sua condizione di prigionia gli ha chiuso le orecchie e paralizzato la lingua? Solo con una nuova creazione che Gesù compie su di lui.

La nuova creazione è un atto che si compie nel segreto e nel mistero di un rapporto unico tra Dio e la sua creatura amata. Gesù ripete simbolicamente i gesti della prima creazione che viene portata al suo compimento nell’atto della redenzione. Il gemito (sospiro) della creazione diventa il suo gemito, che si collega al gemito sulla croce fonte di salvezza per tutta la creazione e la storia.

Finalmente l’uomo in Cristo ascolta il suo Dio e può parlare a Lui. Per questo “coraggio ecco viene il nostro Dio… Egli viene a salvarvi” e tutto cambierà.

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