In un panorama politico bloccato dalla scelta di sostenere, con una maggioranza assai eterogenea, il governo Draghi, al di là delle schermaglie rivolte a segnare qualche punto per la bandiera, si impone in queste settimane un fenomeno da non sottovalutare. Mi riferisco alle proteste, alle manifestazioni che partono da una avversione per alcuni obblighi legati alla campagna vaccinale ma che presto scivolano sul terreno di una protesta qualunquistica, antigovernativa e, ancora una volta, antipolitica. Pur nella eterogeneità di presenze e nella scarsa fondatezza scientifica degli argomenti utilizzati, il movimento di queste settimane non va sottovalutato, anche perché si colloca in un tessuto sociale reso fragile da più fattori.
Così come va attentamente considerato il conclamato richiamo ad un termine come “libertà”, che da sempre è parola legata alla politica, ai suoi progetti e programmi. In questo caso, però, il vocabolo viene utilizzato in una accezione impropria, come criterio ideologico per individuare un “nemico” che non è la pandemia ma una parte della politica. Sarebbe opportuno che di fronte a questo si tornasse a riflettere sul valore della libertà in una repubblica democratica e come questa non sia solo l’assenza di limiti posti all’individuo ma piuttosto l’assunzione di responsabilità sul piano tanto dei diritti quanto dei doveri individuali, sociali, politici ed economici.
Un altro argomento che possiamo sottolineare in margine alla capacità “spontanea” di mobilitare (si veda l’importante peso dei social) è che un numero sempre più elevato di cittadini è, per così dire, slegato dalle forme tradizionali di partecipazione. Questo si verifica anche per la debolezza dei partiti incapaci di uscire con una proposta forte da anni di crisi e per una sorta di obsolescenza della politica che pare non essere più in grado di svolgere il proprio compito. È anche per questo che il fenomeno delle proteste non va sottovalutato.
Allo stesso modo allarma lo spazio, anche mediatico, che guadagnano non solo minoranze estremistiche ma anche forze politiche, apertamente bifronti, che appaiono particolarmente solerti nel cavalcare e agitare la protesta di piazza magari stando al governo. Preoccupa, al riguardo, l’atteggiamento della Lega che gioca una partita schiacciata sul cinismo di una riconoscibilità politica immediata con cui intende surrogare la difficoltà sul piano della elaborazione politica. Tutto questo appare come qualcosa che non appartiene alla normale dialettica politica, ma piuttosto ad un fraintendimento di alcuni punti basilari dell’ordinamento civile e della convivenza.
Siamo uno strano Paese, dove il diritto alla salute, il diritto alla vita, evidenziato dalle migliaia di morti avuti fino ad oggi, possono essere messi tranquillamente in secondo piano rispetto al grido di un ipotetico attentato alla libertà, impropriamente rivendicata con l’uso di simboli che meriterebbero ben altro rispetto. Tutto ciò accade a livello nazionale ma viene replicato sui territori.
Lugi Bottazzi