Aprire un libro è sempre un’avventura, l’inizio di un viaggio, l’esplorazione di un universo parallelo. Ciò vale per qualsiasi libro (storia, scienza, poesia…) ma soprattutto per i libri di narrativa. Vale anche per i saggi di estetica e di critica letteraria che ci pongono di fronte a quel personaggio misterioso, un po’ mago e un po’ alchimista, che è il narratore.
Mago è il narratore perché come lo Sciamano viaggia in altri mondi, dove le leggi naturali sono sovvertite ed è possibile incontrare i morti e gli spiriti. Alchimista anche è il narratore perché trae la materia di ciò che racconta dalla vita (sua e d’altri) ma riplasma questa materia in una forma perfetta. Se infatti la sua opera è riuscita, egli ha proposto un ulteriore modello di bellezza – come il pittore, lo scultore, il musicista.
Mentre lo scienziato ci mostra l’opera creativa di Dio, il narratore la continua. Si tratta però indubbiamente di un dio minore. A volte i personaggi e/o gli eventi gli sfuggono di mano; a volte è solo un testimone involontario, a volte un ostinato detective; a volte è loquace, a volte è “reticente”. Come che sia, si gioca con le regole che ha fissato lui. Se il lettore non è disposto ad accettare tali regole non può che chiudere il libro – e cercarne un altro più conforme ai suoi gusti.
Che cosa è un racconto
Ora vogliamo cercare di rispondere a una domanda che può sembrare scontata, ma forse non lo è per niente: che cosa è un racconto? Ebbene, prima di tutto, il racconto è un fatto linguistico, anzi addirittura un “oggetto linguistico” e, come qualunque oggetto, si può smontare e rimontare. Se nel racconto prevale, fra le funzioni del linguaggio, quella narrativa, nello studio del racconto si esercita, a molti livelli, la funzione metalinguistica.
Col termine “racconto” intendiamo oggi quello che una volta, nella letteratura italiana, da Boccaccio a Pirandello, si chiamava “novella”. Il termine era indovinato giacché racchiudeva in sé l’idea della notizia e quella della novità, ma ormai è in disuso. Oggi le Novelle per un anno di Luigi Pirandello si chiamerebbero Racconti per un anno.
Forse possiamo definire il racconto “per negazione”. Il racconto è una narrazione “breve” che, per la sua brevità (gli inglesi lo chiamano short-story), si contrappone al romanzo. Nessuno, però, è mai riuscito a dirci con esattezza dove finisce l’uno e comincia l’altro cioè quanto deve essere breve un racconto per essere un racconto e quanto deve essere lungo un romanzo per essere un romanzo.
Forse allora la differenza fra i due non sarà nel numero delle pagine, ma negli obiettivi che si pongono: e infatti mentre il romanzo vuole restituirci la complessità della vita, il racconto è una rivelazione. C’è un evento che è connesso alla rivelazione di sé. Dopo questa rivelazione, le cose possono cambiare. Oppure no: il lampo di luce può esaurirsi e tutto riprende come prima. Qualcosa del genere succede, per fare un esempio, in Gente di Dublino di James Joyce.
Anche la fiaba è un racconto, nel quale predomina l’elemento magico. Anche uno spot pubblicitario è un racconto, subordinato però a uno scopo commerciale (il “dono magico” è un prodotto che si può comprare). Anche un fumetto è un racconto nel quale però si usano, oltre le parole, anche le immagini. Infine anche una barzelletta è un racconto, molto breve, nel quale è necessario un colpo di scena finale, una contraddizione, un paradosso o un gioco di parole.
Gli elementi del racconto
1.Per avere un racconto, in fondo, sono sufficienti due personaggi e, magari, un evento, grosso o piccolo che sia, o almeno una situazione che li metta a confronto. Ad esempio, nel racconto di Natalia Ginzburg, “Lui e io”, l’autrice narra di sé e del marito, giocando sul contrasto dei caratteri e delle abitudini: “Lui ha sempre caldo, io ho sempre freddo…”.
Nel racconto di Dino Buzzati, “Inviti superflui”, un uomo invita una donna a stare con lui e a godere della bellezza delle stagioni, ma è consapevole che ciò non avverrà perché, quanto lui è contemplativo e sognatore, tanto lei è “legata alla terra” e pronta al disincanto.
Anche nel racconto di Italo Calvino “L’avventura di un poeta” c’è un contrasto di caratteri, ma il contrasto è evidenziato da un evento: una gita in canotto e l’esplorazione di un isolotto roccioso. È durante questa esplorazione che il poeta prende coscienza non solo della distanza che lo separa dalla donna ma anche della sua vocazione.
Infine è anche possibile un contrasto “di ruolo”: come nel racconto “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo, dove si contrappongono un vecchio prete e una donna stanca della vita…
2. Poiché ogni storia si svolge nel tempo – anzi poiché non c’è storia senza tempo – anche il racconto è legato al tempo. Però il racconto ha il privilegio, rispetto alla storia raccontata – e rispetto alla nostra esistenza – di non dover “seguire” il tempo, ma di poterlo “anticipare” o “posticipare”. Il racconto può mescolare i tempi come un mazzo di carte. Rimane però il fatto che una storia deve avere un inizio e una fine; e questo anche se l’inizio fosse posto, nel racconto, dopo la fine.
Il tempo che scorre, fra l’inizio e la fine, si ferma, prima o poi, nel momento della rivelazione.
Questo per il racconto “tradizionale”; perché nei fumetti e nei racconti “seriali”, il tempo è circolare e i personaggi godono di una eterna giovinezza.
3.Si dovrà infine dire del “punto di vista” del narratore. Nel romanzo “tradizionale” (di meno nel racconto) il punto di vista del narratore è quello di Dio: egli sa tutto dei suoi personaggi, conosce il passato e perfino il futuro e, come se non bastasse, a volte si riserva un angolo dal quale commentare gli eventi. Però, nella letteratura contemporanea, e con particolare riferimento al racconto, è più facile trovare un narratore/detective, che segue i suoi personaggi e scopre, insieme al lettore, che cosa sta per accadere, e il narratore/testimone, che si identifica con uno dei personaggi.
Quest’ultimo tipo di narratore ci interessa in maniera particolare.
Noi non sappiamo se la storia che ci sta raccontando è vera o falsa, se i personaggi sono esistiti davvero oppure no, se gli eventi sono accaduti come lui dice o se li è inventati. Però siamo disposti a dargli tutta la nostra fiducia. Giacché lui è come il cartante in un gioco di carte. Ci propone di giocare e ci detta le regole a cui dobbiamo attenerci. Lui si impegna a non imbrogliarci, noi ci impegniamo a credergli. Ma siamo sicuri che ci dirà, sempre, tutta la verità?
In un racconto giallo la verità ci viene nascosta all’inizio e poi gradualmente rivelata. Ma, se il narratore non bara, anche il lettore dovrebbe comprendere chi è il colpevole – contemporaneamente al detective.
Esiste anche un narratore “reticente”. Ad esempio, nel già citato “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo, l’io-narrante non dice tutta la verità, ma semplicemente accenna e lascia che sia il lettore a comprendere. “Casa d’altri” è esemplare da questo punto di vista e il suo fascino sta proprio nel “non detto”, nell’enigma che racchiude.
Conclusione
Abbiamo incominciato definendo il racconto un “fatto linguistico”. Adesso aggiungiamo che “è un fatto linguistico di elevata qualità letteraria”. Se il racconto non è poesia è perché nella poesia la funzione narrativa del linguaggio è ridotta al minimo.
La poesia è diretta, non vuole mediazioni (personaggi, eventi).
L’emozione si fa subito immagine e l’immagine si pone fuori dal tempo. Quanto al poeta (anche se continua a dire “io”), resta solo la sua voce. Assoluta cioè ab-soluta, sciolta, liberata da qualsiasi vincolo.
Antonio Petrucci