Quando Napoleone passò da Reggio

Due secoli fa, il 5 maggio 1821, moriva nell’Isola di Sant’Elena Napoleone Bonaparte, che ha inciso anche nella storia reggiana.

Il conte Gaetano Rocca, che fu vicario capitolare della diocesi e che certamente non nutriva simpatie filofrancesi, ricorda nella sua severa cronaca, di cui copia è conservata nella biblioteca della Sezione di Reggio Emilia della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, la venuta dell’imperatore Napoleone nella nostra città nel 1805.

“Avvicinando a Reggio l’Imperatore e Re, veniva e passava continuamente truppa, parte distaccata dall’accampamento e parte della città più vicine. Giunsero anche da Milano 250 guardie nobili alle quali si unirono 60 delle nostre, venti a cavallo e quaranta a piedi vestite di scarlatto e mostre bleu e spalline d’argento.

Erano già terminati i risarcimenti alle porte e la gran macchina in Ghiara consistente in una loggia a colonne frammezzata da nicchie, statue e decorata d’emblemi e mascheroni che gettavano acqua. Davanti eravi un muro alto 5 braccia con sopra vasi d’aranci”. Aveva nel mezzo una guglia sostenuta da sirene con l’aquila imperiale e un’iscrizione inneggiante a “Napoleone Magno”.

Così prosegue severamente il Rocca: “Venne il 26 maggio, giorno dell’arrivo di Sua Maestà. Tutte le carrozze dei nostri signori erano fuori ad incontrarla. A San Maurizio sotto un bell’arco architettonico stavano le autorità per ossequiarla. Ogni parroco, la cui chiesa fosse in sulla strada dove doveva passare, si trovava davanti alla chiesa per inchinarla.

Le campane di ville e di città suonavano a festa. Ai poveri e ai carcerati fu dispensato pane e vino. Il Vescovo e il clero erano in Duomo vestiti con formalità caso fosse disceso alla Cattedrale; tutti stettero in aspettazione dalle ore 9 del mattino; le carrozze ed i cavalli al sole e le persone sbadigliavano per la fame e la noia.

Finalmente giunsero corrieri alle ore due, i quali avvertivano che l’Imperatore non sarebbe partito da Modena che alle 4 giungendo qui verso le 6”.

Con queste critiche parole il Rocca documenta l’arrivo di Napoleone: “Infatti il Re della Gloria arrivò in dett’ora complimentato, sotto l’arco di fuori, dal Presidente della Comunità anzi Municipalità che gli consegnò le chiavi della città. Entrava poi in Reggio ad 8 cavalli preceduti dalla Guarda Nobile e seguito da altre carrozze a 6 cavalli passando tra le fila delle truppe schierate, senza però che il popolo battesse le mani o desse il più piccolo segno d’esultanza e di festa.

Traversando Piazza Grande fu inchinato e turificato dal Vescovo, il quale si recò subito alla Casa Trivelli con tre canonici per complimentarlo, né vi era tempo da perdere perché vi si trattenne solo tre quarti d’ora ammettendo a udienza prima la Municipalità, poi il Tribunale, indi il Prefetto, poi il Vescovo e finalmente i Professori del Liceo. Era imbandita una magnifica cena, ma tutti gli altri ne approfittarono fuori di Sua Maestà che partì collo stesso treno alla volta di Parma.

Non bastarono le feste del giorno, che anche alla sera di fecero fuochi artificiali, feste da ballo nel salone del teatro con illuminazione generale per la città”.

Al racconto della venuta di Napoleone, il Rocca – a cui non si confaceva certamente il nuovo regime – fa seguire il malinconico racconto della distruzione della Villa di Rivalta.

“La deliziosa villeggiatura di Rivalta, ove ultimamente passava l’autunno la duchessa Maria Teresa Cybo d’Este, fabbricata con tanta spesa da Francesco III quando era ereditario, che per eleganza era degna di un re, ricca di statue, di vasche, di marmi, di giochi d’acque, di viali, di varie piante esotiche e fruttifere, di giardini, di vasi e fiori e decorata d’un ingegnoso labirinto, tale magnifico soggiorno, il più caro ed il più vago che mai fosse nelle nostre parti e decorato di un ingegnoso labirinto, fu venduto dall’Agenzia Nazionale, anzi per meglio dire donato.

Passando poi da un padrone all’altro cadde alla fine nelle mani di uno dei nostri, il quale, non so se per avidità di guadagno o per odio alla Sovranità spietatamente e con vergogna ed indignazione di tutti, barbaramente in questi giorno l’atterrava.

Così aveva termine un monumento di tanto lustro alla nostra città, di tanta invidia al forestiere e di seducente invito e richiamo ai nostri principi”.

g.a.rossi

Nelle foto: le macchine scenografiche progettate da Domenico Marchelli, da erigersi nella Strada della Ghiara.

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