Alla fine l’epidemia si è abbattuta anche sul nostro sport di contatto e montanaro per eccellenza. Lo scoccino.
Uovo contro uovo, sfidante contro difensore. Uova colorate che passa(vano) da una mano all’altra, in una competizione colorata e avvincente. Altro che il pallone: lo scoccino è uno sport per tutte le età, per tutte le persone, cardiopatici compresi.
Auspichiamo sia l’ultimo anno dove questa antichissima tradizione la si pratichi solo nel chiuso delle nostre case, ma che si possa, come un due anni fa, tornare a giocarla tra le persone nelle vie e nelle piazze dei nostri borghi.
Perché ciò accada occorreranno alcune condizioni. La prima, evidente, è che la quasi totalità della popolazione sia vaccinata.
Quindi che i vaccini siano efficaci e duraturi, nel tempo, il più possibile. Infine che non insorgano varianti che sfuggano alla immunità che faticosamente stiamo perseguendo.
I motivi per essere ottimisti ci sono, ma sul piatto dovremo sapere mettere coraggio, fiducia nella scienza e, anche, responsabilità. Quella responsabilità che, con la voglia di stare insieme, alle volte abbiamo smarrito inseguendo aperitivi o settimane bianche.
In un giorno qualunque della settimana appena trascorsa eravamo al Centro vaccinazioni del Parco Tegge di Felina.
Qui siamo rimasti positivamente impressionati, oltre che dai volontari in campo, dalla partecipazione massiccia dei montanari all’appuntamento coi vaccini. Alle 17.30 nessuna dose era libera.
Tutti (ripetiamo, tutti!), si erano presentati all’appuntamento con vaccino. In coda, fuori sotto il sole, in religioso silenzio.
Diciamocelo. Siamo fatti anche di scorza dura e di un sapere che ha anche radici lontane, che attingono a una concretezza rurale invidiabile dalle città.
Se anche lo Stato e l’Europa faranno la loro parte, davvero tra luglio e settembre potremo ritrovare i primi sorrisi, senza dimenticare le troppe persone che abbiamo perso lungo la strada in questi mesi.
Sarà forse l’ultimo anno senza scoccino per le strade, ma nulla ci vieterà di rompere le uova tra le case e di dimostrarci caparbi nei nostri usi così come coraggiosi nell’affrontare la vita tra le nostre montagne anche al tempo del Covid.
Gabriele Arlotti