Senza un soldo a Parigi e a Londra

Ogni volta che leggo un libro di Orwell mi vengono in mente i Pink Floyd. Non solo perché uno dei dischi della band (Animals del 1977) è fortemente ispirato proprio al suo “La Fattoria degli Animali”, ma soprattutto perché come per il quartetto inglese ritengo che le opere per cui è maggiormente conosciuto non siano le sue migliori.

Intendiamoci, sia “1984” che la fiaba agreste sopra citata sono due capolavori (esattamente come lo sono The Wall e The Dark Side Of The Moon), però credo che il vero fulcro dell’opera dello scrittore inglese risieda negli scritti più realistici piuttosto che nelle allegorie bucolico-anti totalitariste o nelle distopie fantapolitiche. Ritengo quindi che le opere migliori di Orwell, morto nel 1950 a soli 47 anni, siano le memorie delle sue esperienze belliche durante la Guerra di Spagna (“Omaggio alla Catalogna”) e il libro di cui vi parlerò adesso.

“Senza un soldo a Parigi e a Londra” (uscito originariamente nel 1933) è il primo lavoro pubblicato da Orwell. Il libro narra senza fronzoli e censure le peripezie dell’allora giovane autore, non ancora scrittore ma aspirante giornalista, nelle due metropoli del titolo.

Ritrovatosi nella capitale francese in gravi ristrettezze economiche, il giovane Orwell è costretto per sopravvivere a lavorare come sguattero  nelle cucine di alcuni alberghi e ristoranti di Parigi. Quindi tra orari massacranti, colleghi infami, lavoro sfibrante e sottopagato, l’autore avrà modo di osservare da vicino e toccare con mano tutte le storture di un sistema in cui gli agi e le comodità di pochi sono pagate a caro prezzo da coloro che il capitalismo borghese, invece di cavalcarlo, lo subiscono. Lo sguardo dello scrittore scava a fondo nella fauna sociale dei quartieri popolari che frequenta, abitati da un’umanità disperata e variopinta che sopravvive di espedienti e lavoretti che danno solo quanto basta per arrivare al giorno dopo. Il tutto in netto contrasto con l’opulenza degli hotel e dei ristoranti di lusso in cui lavora e che, dietro l’apparente sfarzo di facciata, nascondono nelle proprie viscere cucine sporche e maleodoranti in cui i rapporti tra i dipendenti sono regolati gerarchicamente in base al ruolo ricoperto.

Orwell sceglierà di abbandonare quella vita priva di qualunque tipo di prospettiva per far ritorno nella natia Inghilterra dopo la promessa da parte di un amico di un posto da precettore presso una famiglia facoltosa. Ma anche questa speranza sarà in parte frustrata, e l’autore una volta rientrato in patria si ritroverà costretto a condividere per un mese intero la vita raminga e miserevole dei senza tetto della capitale inglese, utilizzando però questa spiacevole esperienza per analizzare le cause sociali e umane che portano al fenomeno del vagabondaggio (con taglienti critiche verso i governi che con leggi assurde e politiche inadeguate invece di contrastare il fenomeno in realtà lo fomentano).

Questo libro è insomma un attendibile spaccato della situazione in cui versavano le classi sociali meno abbienti nelle metropoli dei primi decenni dello scorso secolo. Un libro di un’onestà disarmante, scritto con vivace semplicità che entusiasmò a tal punto un ragazzone americano di origine tedesca chiamato Henry Charles Bukowski al punto da inserirlo tra i suoi libri preferiti di sempre. E se è piaciuto a lui che di scrittura se ne intendeva non vedo perché non debba piacere anche a voi.

George Orwell – Senza un soldo a Parigi e a Londra

Mondadori 2020

 

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