Già un anno di pandemia e non abbiamo imparato a tutelare i nostri anziani

Un anno passato senza averci capito granché. È il bilancio di quanto fatto dal nostro Paese per difendere gli anziani dalla pandemia.

Era marzo del 2020 quando per la prima volta ci fu detto che la cosa più importante e urgente da fare sarebbe stata quella di tutelare chi era più fragile, anziani e non autosufficienti in primis.

Una corsa contro il tempo per blindare Rsa e case di riposo, nella convinzione che fosse questo l’unico modo per salvare la vita di chi vi risiedeva.

Il modello italiano divenne quello da imitare, quello a cui fare riferimento per fermare la pandemia, in contrasto con i metodi adottati dagli altri Paesi, in particolare con quello britannico, accusato di aver condannato a morte i più vecchi.

Era stato Boris Johnson, infatti, a fare quella che diventò l’affermazione più crudele e sconcertante si potesse fare, ossia dichiarare che il Paese da lui guidato, pur di non fare alcun lockdown, sarebbe stato pronto a veder morire i propri anziani.

Una dichiarazione che ci sconvolse, che ci fece rabbrividire per la sua profonda brutalità, di fronte alla quale gridammo allo scandalo, noi italiani che invece eravamo certi di aver fatto le scelte migliori, soprattutto dopo il repentino cambio di strategia dello stesso Johnson quando si rese conto di aver sbagliato tutto, perché il virus, a differenza di quanto da lui stesso dichiarato, non colpiva solo gli anziani ma anche i più giovani: lui per primo ne fece le spese.

Un “mea culpa” che, però, non riguardò solamente il Regno Unito ma anche l’Italia, quando i morti cominciarono a contarsi anche nelle nostre Rsa, quelle stesse Rsa che eravamo convinti di aver difeso.

Non era cosi!

Cominciammo ad assistere ad una strage incontrollata e incontrollabile, impotenti di fronte a qualcosa che fece venire alla luce tutte le fragilità della nostra sanità e della nostra rete di assistenza.

Da modello da imitare passammo in breve tempo ad esempio da rifuggire, incapaci di contrastare quello tsunami che ci stava travolgendo.

Una serie di errori e incongruenze che, passando dal governo Conte al governo Draghi, ci ha fatto capire quanto il nostro Paese abbia sprecato in termini di vite e tempo in una rincorsa continua tra chiusure e riaperture che a poco o nulla sono servite per fronteggiare la crisi pandemica.

Ora, un anno dopo l’inizio di tutto, con l’arrivo dei vaccini sembrava fossimo alla fine del tunnel, e invece la storia si ripete: quella stessa incapacità dimostrata un anno fa la stiamo rivivendo nell’inadeguatezza di un piano vaccinale reo di non saper dare la precedenza ad anziani e non autosufficienti su tutto il territorio nazionale.

Un’inefficienza che, anche stavolta, si scontra con quanto fatto in altri Paesi e che trova nuovamente il suo contraltare nelle decisioni adottate da Boris Johnson che, a differenza di quanto fatto da noi, ha scelto di far somministrare la prima dose di vaccino a tutti, senza distinzioni di sorta.

Una strategia che sta ripagando, visto che lunedì per la prima volta dopo sette mesi, il conteggio dei deceduti quotidiani ha dato un numero importante: zero.

Da noi no, non va così: qui siamo ancora a rincorrere, non più il virus ma le dosi di vaccino, quelle arrivate e quelle disdette, quelle somministrate e quelle ancora ferme lì in un congelatore, in attesa, come in Calabria, di essere distribuite.

Errore dopo errore, inefficienza dopo inefficienza non più accettabili e per i quali ora è necessario un cambio di passo per garantire a tutti il diritto alla salute e dimostrare di aver imparato qualcosa da tutti questi mesi di pandemia.

Anna Taverniti

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