Pubblichiamo il testo dell’omelia del vescovo Massimo nell’azione liturgica “In Passione Domini”, che si è celebrata in Cattedrale la sera di venerdì 2 aprile.
Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno in cui tutto tace – campane, organo, persino la celebrazione della santa Messa – anche le nostre voci vengono meno.
Di fronte al mistero della Passione e morte di Nostro Signore siamo chiamati a stare in silenzio, a non coprire con le nostre parole e i nostri pensieri quanto oggi la Chiesa pone davanti ai nostri occhi.
Il nostro silenzio è pieno di sgomento di fronte all’incommensurabilità del sacrificio di Cristo.
Nello stesso tempo il nostro cuore è invaso dalla commozione e dalla gratitudine perché la croce, prezzo del nostro riscatto (cfr. 1Pt 1,18), ci parla del valore infinito che le nostre vite hanno davanti a Dio.
Se egli è arrivato a consegnare suo Figlio alla morte per noi, questo significa che ogni persona che Egli ha voluto e portato all’essere è preziosa ai suoi occhi.
Il castigo che dà salvezza si è abbattuto su di lui – ci ha ricordato il profeta Isaia nella prima lettura di questa liturgia – per le sue piaghe siamo stati guariti.
Salvezza e guarigione: sono i frutti della croce. Salvezza dal nostro male e guarigione dalle nostre ferite.
Il sacrificio di Cristo apre per noi la strada della vita, ci rigenera ad una speranza che non avremmo potuto costruire con le nostre forze. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge – continua il profeta – ognuno seguiva la sua strada.
Quante volte, ancora oggi, persino nella Chiesa, sembra che ognuno continui a seguire solo se stesso, rendendo vana la croce di Cristo!
In questo venerdì santo, chiediamo perdono per le nostre offese all’unità e alla comunione che Gesù ha pagato per noi con il suo sangue.
Chiediamo la grazia di nulla anteporre a questa unità, anche a costo di sacrificare il nostro personale punto di vista. Lasciamoci guarire dalla contemplazione della croce.
Lasciamo che le nostre divisioni, i nostri narcisismi e la nostra suscettibilità si sciolgano davanti a Colui che per noi ha accettato gli sputi, gli insulti, le percosse e, infine, una morte ignominiosa.
La salvezza non viene dalle nostre idee o dalle nostre battaglie. La salvezza e la vita vera sgorgano dal sacrificio e dalla donazione di sé.
Nel disegno di Dio il compimento dell’esistenza, di ogni esistenza, sta nella partecipazione alla vita e alla donazione del Figlio.
La croce è il segno supremo e definitivo della fedeltà di Dio al suo disegno. Come ebbe a dire papa Francesco qualche anno fa, essa è una “cattedra”, è la cattedra da cui Dio insegna che cosa è l’esistenza e che cosa significa amare.
«Noi – afferma il Papa – abbiamo bisogno di essere raggiunti dal suo amore, che si china su di noi; non possiamo farne a meno, non possiamo amare senza farci prima amare da Lui, senza sperimentare la sua sorprendente tenerezza» (cfr. Francesco, Omelia nella domenica delle Palme, 20 marzo 2016).
Mettiamoci oggi alla scuola della croce e imploriamo per noi, per tutti i nostri cari, per la Chiesa universale e per tutti i nostri fratelli e sorelle di buona volontà i doni della contrizione, dell’unità e della pace.
Amen.
Massimo Camisasca