Otto storie di donne coraggiose, venerdì 5 il meeting

“L’otto da marzo”. E’ l’iniziativa promossa dalla Cisl Emilia Centrale e dal Coordinamento Donne che raccoglie, in previsione della Giornata internazionale della Donna, otto testimonianze di donne coraggiose. “Crediamo sia opportuno farlo – spiega William Ballotta, segretario generale Cisl Emilia Centrale – perché l’anno appena trascorso ha aggravato molte problematiche legate al tema della donna.

Tra le testimonianze di chi ascolteremo chi ha subito violenze domestiche, chi ha avuto paura di contagiare i propri figli, chi ha appreso come aiutare i colleghi, chi li ha persi, chi ha visto andare a rotoli il proprio lavoro. Tutte hanno saputo comunque emergerne in modi diversi”.
“Ed è proprio in previsione dell’8 marzo – spiega Rosamaria Papaleo, segretaria Cisl Emilia Centrale – che abbiamo predisposto un’immagine dove le donne rivendicano le parole chiave di questa giornata che dovrebbe durare 365 giorni l’anno: parità di retributiva, pari opportunità, lotta a violenze, molestie e femminicidi. Credo che dalle testimonianze di queste 8 mogli, madri, ragazze o pensionate derivi un racconto unico del tempo che stiamo vivendo, così come un messaggio di speranza per il futuro, con donne maggiormente protagoniste nella società”.
Il meeting, condotto dalle interviste del giornalista Gabriele Arlotti, lo si potrà seguire in diretta sul profilo Facebook della Cisl Emilia Centrale o direttamene dal Meeting di GoToMeeting (https://tinyurl.com/vxkgwjuc stanza 315-397-389).

LE OTTO TESTIMONIANZE: “Così la pandemia ha cambiato le nostre vite”

• Lucia Salvatore, operaia, Guastalla. “La pandemia mi ha cambiato sotto molti aspetti sia personali che la lavorativi. Come delegata Rsu Cisl ho preso l’impegno di entrare a fare parte del comitato e prendere decisioni, per i miei colleghi, diventandone punto di riferimento. Purtroppo molte volte ho dovuto fare richiami a persone che non rispettavano le regole. In famiglia, pochi mesi prima del lockdown ho perso un bimbo al 7° mese di gravidanza. Il mio compagno non mi è stato vicino, anzi si litigava e non era presente. Durante le settimane di isolamento ci siamo allontanati sempre di più… con litigi verbali e non solo. Ma proprio grazie al lockdown ho avuto la forza di parlare con la mia famiglia e mettere fine alla sofferenza che stavo vivendo”.

• Federica Prandi, insegnate di scuola media, Correggio. “Come docente, il cambiamento più grande riscontrato è stata la Didattica a distanza (Dad). Inizialmente vissuta con incertezza e timore, nel tempo è diventata una nuova opportunità che non sostituisce la didattica in presenza, ma che la può arricchire. E non abbiamo lavorato meno ti quanto che l’opinione pubblica comunemente ritiene. Alle donne ai tempi della pandemia è stato richiesto di essere ancora di più multitasking, anche in ambito familiare”.

• Lucia Del Re, addetta mensa alla Cir, Reggio Emilia. “Ho una famiglia molto numerosa e durante il lockdown non ho potuto rivederla, soffrendone. Così come mio figlio di 5 anni che non poteva più incontrare gli amati nonni. In quei mesi di stop forzato – la mensa era chiusa e ancora oggi ci alterniamo in cassa integrazione, dato che con lo smart working molta meno gente mangia fuori casa -, ho potuto proseguire gli studi interrotti da giovane e diplomarmi”.

• Monica Ferretti, libera professionista con Bar, via Turri a Reggio Emilia: “La pandemia – unica cosa positiva – mi ha regalato più tempo per stare con la famiglia. Ma tutto il resto, dai rapporti sociali al lavoro sono stati un disastro. Questo apri e chiudi delle attività ci sta uccidendo. Io e il mio compagno lavoriamo nello stesso settore quindi è veramente difficile. Ringrazio chi ci ha aiutato, la proprietà i nostri storici clienti”.

• Serena D’Ambrosio, infermiera di Reggio Emilia. “Ripensano a quando tutto è iniziato mi viene il ‘magone’. Sia come infermiera, moglie e mamma… Non ho abbracciato le mie bimbe per un bel po’ di tempo e in casa la mia miglior amica era la mascherina! Il mio più grande timore era quello di contagiarle per colpa ‘colpa’ del mio amato lavoro. In reparto all’inizio vivevamo nel caos, dato che i pazienti positivi crescevano a vista d’occhio, protocolli su protocolli che cambiavano in continuazione e noi a rincorrerli. Abbiamo fatto lotte continue per avere i giusti Dpi che scarseggiavano in tutta l azienda. Intanto aumentavano i contagi anche tra noi colleghi: medici, infermieri, Oss alcuni gravi, un medico deceduto. Essere donne in questo periodo è stato molto faticoso perché le energie che assorbite in ospedale erano tantissime e a casa trovavo poco riposo, mio marito operaio non ha mai smesso di lavorare, facevamo turni differenti e tra Dad, compiti, spese nei supermercati… è stato pesante”.

• Paola Zelioli, pensionata di Regnano “La paura della salute è quella che ci ha accompagnato in questi mesi. E questo isolamento forzato ha dato un grande senso di solitudine. Ci sono mancate le relazioni e gli stili di vita abbiamo avuto sono parecchio cambiate”.

• Claudia Tramice, lavora presso Grandi Salumifici Italiani, di Reggio Emilia. “Ho iniziato il mio percorso come Rsu poco prima della pandemia, con difficoltà sul lavoro tra i colleghi. Non ho mollato e mi sono anche arrivate richieste di aiuto su come gestire i figli tra lavoro e casa. Essendo una donna che viene da un passato di un matrimonio violento dove ho dovuto crescere i figli da sola. Quindi mi sono immedesimata su ciò che queste donne stavano vivendo e non potevo mollare proprio ora. I miei figli mi incoraggiavano a proseguire. Da qui la scelta aziendale, che ho perorato, di dare la massima disponibilità alle donne con i figli nella gestione del orario di lavoro più comodo”.

• Daniela Cioara, romena in Italia dal 2001, operaria di CoopService presso Manifattura del Nord, Reggio Emilia: “Un anno fa lavoravamo senza Dpi adeguati sino a marzo. Usavamo mascherine di carta. Le difficoltà erano molte. Poi è iniziata la cassa integrazione e la difficoltà maggiore era stare in casa, con la paura della malattia. Senza per altro potere viaggiare e rincontrare i genitori anziani. Cito il caso poi delle colleghe che, con la chiusura delle scuole, non sanno a chi lasciare i loro figli…”.

Gabriele Arlotti

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