Una ricerca americana sugli effetti indotti dalla pandemia

Finalmente si può guardare al futuro con la speranza di fronteggiare i problemi concreti con la loro durezza pragmatica senza quel frastuono delle contrapposizioni ideologiche vuote e preconcette.

Finalmente dobbiamo partire dai dati, dalla realtà. Purtroppo però – proprio a causa di quella endemica abitudine a contrapporsi nelle piazze sulle parole vuote – di dati che almeno nei settori della salute mentale siano rappresentativi e validi per tutta la popolazione italiana se ne trovano molto raramente.
Questa premessa è per spiegare perché parliamo di dati concreti, ma raccolti in America. Possono ugualmente ispirarci molto su cosa fare per aiutare la ripresa e sostenere la salute degli individui e delle popolazioni.

Sull’autorevole JAMA è apparsa la ricerca condotta da un gruppo di professionisti guidati da Mark Czeisl sulla salute mentale, l’uso di sostanze e l’ideazione suicidaria degli americani durante la pandemia di Covid-19.

Già durante la fase iniziale della pandemia, in aprile, i sintomi negativi per la salute mentale erano peggiorati rispetto alle stime di prevalenza prepandemiche. Col crollo dello stato dell’umore sono aumentate di 3 volte le crisi con sintomi di ansia e depressione, di 2 volte i tentativi e le ideazioni suicidarie, altrettanto i consumi di sostanze stupefacenti. Poco dopo, a giugno 2020, la percentuale di popolazione che ha disturbi mentali è il 40,9% del totale. Pur nel grave peggioramento generale dello stato mentale ed emotivo si è drammaticamente creata una situazione per cui la sofferenza maggiore si è sparsa tra i giovani. Infatti i sintomi erano inferiori nelle persone da 65 anni in su; costoro stavano addirittura meglio di quanto stessero all’inizio della pandemia, invece tra i giovani dai 18 ai 24 anni la sofferenza psichica riguardava il 74,9%!

Un dramma sociale inascoltato. Si pensi che quando ad aprile sollevammo la questione della salute mentale, il governo non rispose neppure.
Tornando alla ricerca si è osservato qualcosa che lascia un po’ sperare. La situazione drammatica di giugno 2020 a settembre era in parte rientrata, segno che lo scompenso diffuso è almeno per alcune persone una risposta transitoria al trauma di massa. A settembre, complessivamente, i sintomi di ansia o depressione riguardavano il 30% della popolazione, mentre il 29,6% riportava sintomi di traumi e stress correlati a Covid-19. L’aumento dell’uso di droghe era del 15,1% mentre l’11,9% ha riferito di aver seriamente considerato di suicidarsi.

Il problema della maggiore diffusione tra i giovani che tra gli adulti anziani è rimasto. Anzi relativamente ai giovanissimi tra i 18 e i 24 anni addirittura il 95% aveva ad agosto disturbi emotivi e/o del comportamento.

Anche chi ha compiti di caregiver ha sofferto più della popolazione generale. Sono peggiorati anche coloro che avevano diagnosi psichiatriche precedenti rispetto a quelli senza diagnosi precedenti.
Sono pesantemente peggiorati i quadri psichici anche tra le persone con disabilità.

Un altro settore drammatico di sofferenza è rappresentato dai lavoratori precari o disoccupati; costoro stavano molto peggio dei lavoratori stabilizzati.
Infine anche le persone con orientamento sessuale omosessuale hanno manifestato un tasso di diffusione di disturbi emotivi maggiore delle persone con orientamento eterosessuale.

I dati della ricerca confermano che la pandemia ha provocato danni giganteschi all’equilibrio psichico delle popolazioni. Mette inoltre in chiaro le diseguaglianze che la pandemia ha accentuato anche rispetto alla salute mentale.
Tutti ne soffrono, ma i giovani più degli anziani, chi svolge funzioni di sostegno e di cura di più di chi è autonomo autosufficiente, i lavoratori precari di più dei lavoratori garantiti. Fasce deboli di popolazione che sono state ancor di più colpite dagli effetti della pandemia.
Chi si occupa di amministrazione e di salute mentale sa verso chi dirigere gli sforzi, con urgenza, speriamo.

Umberto Nizzoli

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