Accordo per la valorizzazione dei resti archeologici

La Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, il Comune di Reggio Emilia e l’Azienda Usl Irccs di Reggio Emilia hanno sottoscritto un importante Accordo per la valorizzazione dei resti archeologici rivenuti durante i lavori preliminari alla costruzione del nuovo padiglione per la maternità e l’infanzia (Mire) dell’Ospedale della città.

L’ACCORDO – L’accordo stipulato servirà a garantire la conservazione, oltre che la valorizzazione e la fruizione degli spazi dedicati a tale racconto: sia attraverso la possibilità di vedere alcune parti esemplificative degli acquedotti ritrovati, sia attraverso filmati, testi e ricostruzioni capaci di raccontare a grandi e piccoli quanto sia importante l’acqua, cosa ha permesso l’ingegneria romana antica e come è riuscita a realizzarlo, come veniva gestita la città e quali trasformazioni ha subito nel tempo.

Attraverso l’attività dei Musei civici si potranno poi conservare i reperti associati a tali rinvenimenti, incrementare l’offerta culturale e didattica riguardante queste tematiche e costruire un percorso di conoscenza delle testimonianze antiche della città romana, importante centro di collegamento lungo la via Aemilia.

L’ACQUEDOTTO – L’operazione di scavo e documentazione di tali resti, tuttora in corso, prende le mosse dalla consolidata procedura di archeologia preventiva (come da art. 25 del Codice dei contratti pubblici), che prevede di poter effettuare verifiche archeologiche preliminari all’esecuzione di un’opera pubblica e, qualora siano individuate strutture archeologiche, scavarle o conservarle sul posto.

Le indagini preliminari eseguite per il Mire hanno individuato due condotte idriche di epoca romana, sotterranee, la cui esistenza era stata già appurata tra il 2011 e il 2012 durante i lavori per il padiglione oncoematologico Core, posto subito a nord del Mire, ma hanno portato anche alla scoperta del principale acquedotto della città romana. Nell’area sorgono quindi tre opere tecnicamente diverse, ma che hanno la stessa finalità. Le prime due linee – chiamate per comodità beta e gamma – sono rispettivamente formate una da un doppio canale di tubuli di terracotta, e, nel secondo caso da un canale unico in laterizi con voltino a U.

L’acquedotto principale, alfa, individuato ora in occasione dei lavori per il Mire, è invece un’opera di tipo monumentale. Si tratta di una struttura voltata alta 1,8 metri, composta da varie gettate contro terra di conglomerato di scaglie di pietra, frammenti di laterizi, malta e cocciopesto, con canale interno per lo scorrimento delle acque, ed un’estensione lineare, in direzione della città di Reggio Emilia, intercettata per più di 140 metri.

L’acquedotto alfa – la cui messa in luce è stata diretta da Annalisa Capurso, funzionaria archeologa della Soprintendenza, assieme al funzionario restauratore Mauro Ricci, con responsabile di cantiere Fabrizio Ghio, della ditta La Valle – si trova in buone condizioni di conservazione e presenta molti tratti sostanzialmente integri, probabilmente grazie al fatto di essere stato sempre sotterraneo, o appena sporgente dal suolo, e in un’area in parte poco intaccata da lavori successivi. Le tre condotte saranno ora oggetto di studio e pubblicazione attraverso l’analisi delle malte e quella delle sedimentazioni contenute all’interno, con lo scopo di poterne datare la costruzione e la dismissione, ricostruire le modalità di realizzazione e manutenzione, da dove traevano origine e come distribuivano l’acqua in città.

In via preliminare, grazie a valutazioni sui rapporti con beta e gamma, e in considerazione della sua notevole somiglianza con l’acquedotto rinvenuto nel secolo scorso a Brescello, nella provincia reggiana, si può ipotizzare che alfa sia stato costruito in concomitanza con la piena urbanizzazione di Regium Lepidi, l’antica Reggio Emilia, quando la città, tra il I sec. a.C. e il I d.C., venne dotata di strade urbane lastricate, piazze, fontane pubbliche, domus ricche di mosaici (per i quali Reggio Emilia eccelle), terme, edifici pubblici monumentali (ancora sul posto e visibile parte della basilica romana negli ambienti sotterranei del Credem, sulla via Emilia, mentre frammenti architettonici di altri edifici sono conservati presso i Musei Civici di Reggio Emilia).

La presenza di queste tre opere, eseguite a una distanza di tempo relativamente breve l’una dall’altra, ci racconta di una città in espansione, che viveva un momento di particolare floridezza e incremento delle attività economiche, sotto la guida di una leadership solida in grado di programmare grandi opere per rispondere al crescente bisogno di approvvigionamento di acqua, utile non solo per bere e per motivi igienici, ma anche per svolgere le tante attività lavorative che vi avevano luogo, oltre che per i momenti di svago ed esercizio sportivo, come ad esempio alle terme.

I tre acquedotti, dunque, in quanto segni tangibili del passato di Reggio Emilia e testimonianze della oculata gestione del territorio e della notevole capacità di pianificazione degli antichi reggiani, rappresentano una nuova occasione di approfondimento sul tema dell’archeologia della città, oltre che un’occasione unica per poterne raccontare la storia, per illustrare in quali modi si canalizzava e portava nelle case l’acqua, un elemento essenziale alla vita, che ben si sposa con il tema della nascita legato al padiglione della maternità.

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