V domenica del Tempo Ordinario

Prima Lettura: Giobbe 7,1-4.6-7 ;
Salmo 146
Seconda Lettura: 1Corinzi 9,16-19.22-23 ;
Vangelo: Marco 1,29-39

 

Carissimi

la stesura di questo breve commento alle letture avviene da parte mia nel giorno dedicato alla memoria della Shoah, pertanto non mancherò al dovere di leggere questa grande e immane tragedia nel contesto della Parola di verità, che unica può aprirci alla speranza della luce. Le parole di Giobbe bene interpretano oggi la condizione di precarietà e angosciante disperazione dell’uomo di ogni tempo e in particolare di quegli uomini posseduti dalla malvagità assoluta, che in certi frangenti della storia si scarica su interi popoli. Non mi è difficile pensare a queste parole di Giobbe come a parole dette e gridate nei campi di concentramento dai figli di Israele, schiavizzati e trattati “come pecore da macello(Rm 8,36). “Mi sono toccati mesi d’illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico : ”Quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni sono stati più veloci d’una spola, sono finiti senza speranza.”(Gb 7,3-6) Tuttavia il richiamo di Giobbe alla pesantezza della condizione umana, e al duro lavoro a cui l’uomo è sottoposto, promuove e apre alla supplica del suo creatore. RICORDATI !(Gb7,7) Fai memoria o Dio della mia miseria e del mio nulla! A questo grido di aiuto farà eco, nel Vangelo, l’esultanza di Maria :” Ha guardato la miseria della sua serva”. Una speranza e un’alba nuova dunque è sorta! Ed ecco Gesù che esce dalla Sinagoga, per portare i suoi fratelli nella casa edificata sulla roccia, dove prenderà dimora la misericordia divina e ove il male è vinto. Il tempio nuovo è l’uomo vivente che diventa luogo di attenzioni, di relazioni e incontri per lenire lacrime e sollevare dalla malattia mortale. Poi di nuovo uscire, perché “lo zelo per la Sua casa lo divora” per servire il mondo intero liberandolo dal male:” gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.” Tutta l’umanità, immersa nel buio della sera, è posta con le sue ferite mortali innanzi alla porta, “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7). Ognuno è preziosissimo, non è più sotto giudizio, ma teneramente curato perché malato. Anche Il Signore è malato, ma d’amore per noi come canta Il Cantico e tale amore, più forte della morte, ci libera dai lacci seducenti del demonio. Ecco dunque la risposta di Dio per liberare l’uomo dalla schiavitù del male: attingere costantemente all’amore che il Padre ci ha mostrato in Cristo Gesù. La Chiesa tutta e ognuno di noi deve “farsi tutto a tutti”, per fare conoscere il Suo Figlio prediletto e lasciarsi impregnare e trasformare dal suo Spirito, che ci agisce e ci guida. Solo attraverso una conversione interiore, che ci cambi nell’intimo, saremo in grado di opporci al male che ci aggredisce, altrimenti l’umanità correrà sempre il rischio di cadere nella trappola di nuove e pericolose avventure autodistruttive. Preghiamo fratelli perché tutti veramente cerchino il Signore.

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