Servizio di affiancamento e sollievo

In che modo cogliere le sfumature di chi si trova ricoverato in un reparto Covid, la disperazione dei suoi familiari in quella grave situazione, ma anche il lavoro estenuante degli operatori ospedalieri?

Comincio dai ricoverati che ho trovato nel reparto Covid dell’ospedale di Scandiano a seguito della mia prima esperienza di tre settimane. I malati positivi coscienti e lucidi, ma anche quelli ventilati, avevano in comune tutti la voglia di tornare a casa; il pericolo della caduta depressiva, dopo qualche giorno dal loro ricovero; il desiderio di vincere la noia dovuta all’isolamento e alla solitudine, mediante una conversazione da loro attesa ogni giorno. La possibilità di soddisfare ogni loro richiesta (legittimata e concessa dalla caposala) li faceva essere felici; immaginate poi quando era loro possibile mettersi in contatto con qualche loro familiare, mediante le videochiamate fatte col tablet su schermo grande.

A volte basta poco per cambiare l’umore di qualcuno. Più volte colgo in me il forte desiderio di poter fare tutto il possibile per rendere gli altri contenti; anche aiutando a vedere la stessa realtà ma con l’ottimismo di chi il bicchiere lo vede mezzo pieno, anziché mezzo vuoto. È prevalso il tempo trascorso nelle camere fra un malato e l’altro, soprattutto per ascoltare i loro racconti; sedersi accanto (nella distanza di sicurezza concessa) per immergersi nei loro ricordi e passioni, essere coinvolti dai loro sogni, desideri e progetti, ma anche condividere e giustificare le loro paure e fatiche. In quei momenti mi è stato concesso di essere una presenza importante mandata dalla Provvidenza; un vero e proprio strumento del Signore inviato lì per infondere calore e per garantire a quel malato il sostegno donato da una presenza umana e divina insieme.

Come sacerdote ho reso presente il Signore nei sacramenti celebrati (confessioni, Comunioni, Unzioni e benedizioni). In fondo nulla di speciale: prendersi cura di un bisognoso ci permette di sperimentare quanto nel Vangelo ci viene raccontato del buon samaritano: modello di vita da fare nostro sempre, al di la di ogni nostra specifica vocazione.

Alcune riflessioni sulla disperazione dei familiari. È il dramma di chi non può restare accanto al proprio amato; di chi non ha il permesso di poter toccare, stringere, accarezzare, baciare e comunicare fisicamente il proprio affetto e legame. I malati vengono “sequestrati e blindati” in ospedale (per il loro bene e quello di tutti), ma l’effetto emotivo in loro è più dannoso di quello provocato dal virus. Anche l’attesa di chi li aspetta a casa, è preoccupante, snervante e spesso induce a delusione e sconforto. Per fortuna che i cellulari e tutti i mezzi di comunicazione da piattaforma, in questo, operano un prodigio terapeutico (che integra di molto quello medicinale).

Diventare il tramite fisico di ogni familiare a cui è impedito di avvicinarsi al letto del proprio caro è un compito che mi piace. Poter accarezzare, stringere mani e vedere da vicino le persone ricoverate, a nome e in rappresentanza di altri, è commovente! Me lo hanno dimostrato i ringraziamenti ricevuti sia dai parenti e familiari che dai ricoverati stessi.

Sull’accompagnamento offerto ai curanti posso scrivere che è stato una grazia divina ricevuta e non ancora del tutto soppesata. Con loro il mio servizio è stato di affiancamento e sollievo; con alcuni anche riscoperta della fede e della loro personale religiosità; per tutti un apprezzamento e l’espressione di una enorme gratitudine fatta loro a nome della comunità.
Il mettersi al loro livello (per orario e ambito di servizio), pur nella diversità delle nostre competenze, è stato vincente. Anzitutto per conoscerli (30 infermieri e 10 oss), ma anche per poter offrire a ciascuno quanto più si attendevano da me. Per alcuni la figura di sacerdote (con richiesta di confessione e benedizioni); per altri la figura di un collaboratore che li alleggeriva da alcuni compiti (per esempio le videochiamate con le famiglie); per tutti un compagno di servizio che umanamente li sosteneva, ascoltava e portava pure in reparto una dose contagiosa di allegria che non li disturbava.

Tutti (chi più, chi meno), compressi emotivamente per i casi quotidiani che affrontano in reparto, hanno bisogno di ricevere gratitudine, conforto e incoraggiamento. Nei momenti di relax è stato illuminante portare loro torte, cioccolatini, salatini e vino, che a nome della comunità diventavano il segno concreto di una riconoscenza gratificante. Il modo più semplice per dire loro: bravi, grazie, coraggio.

Attendo ora con pazienza il momento del mio ritorno in reparto, per continuare a svolgere questa missione che il Signore mi ha consegnato e per poter rivivere quei momenti impegnativi, stancanti, ma anche piacevoli e arricchenti.
Non potrei fare tutto ciò senza il sostegno e l’effetto della vostra costante preghiera.

G.G.

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