Parità di genere? Chiarezza

Si parla, e si scrive, oggigiorno di “parità di genere” in tanti settori della vita pubblica, delle istituzioni ed anche in campo ecclesiale. Sarebbe importante chiarire bene cosa vuol dire “parità di genere”.
Che uomini e donne abbiano la medesima dignità è ovvio (il cristianesimo ne fu il primo banditore e strenuo difensore) ma è altrettanto ovvio che siano differenti. La confusione causata da certa terminologia però non aiuta a capire. La differenza in assoluto che non può essere contraddetta rimarrà sempre la maternità (fisica e psicologica). Che evidenzia allo stesso modo la paternità.

Le femministe hanno fatto una battaglia per rivendicare la “differenza” con gli uomini e criticarli aspramente. Nessuno ci farà da “padrone” dicevano, il mondo maschilista e patriarcale non ci dominerà e nessuno sarà padrone del nostro corpo, urlavano nelle piazze dal ’68 in poi. E ancora “il corpo è mio”, “l’utero è mio” in riferimento alla possibilità di decidere autonomamente sul frutto del grembo.

L’agguerrita femminista americana Erika Bachiochi disse in piena epoca obamiana (cioè durante la presidenza di Obama): “Un mondo senza differenze fra i sessi scarica sulle donne tutta la responsabilità della vita. È questa la libertà che vogliamo?”. “Quando ero una sostenitrice del diritto ad abortire”, spiega la femminista, “l’aborto mi sembrava fornire alle donne una risposta concreta alla responsabilità sproporzionata che il rapporto sessuale può metterci davanti”.

In verità, continua la donna, si inganna chi crede che l’aborto rappresenti un’arma contro la “disparità” per la quale “una donna rimane incinta e un uomo no”. Perché cancellando la realtà della differenza sessuale non si fa che peggiorare le cose, “addossando tutta la responsabilità della cura – o del rifiuto – della vita del nascituro, un essere umano che si sta sviluppando, solo alla donna”. Ecco perché “l’aborto tradisce le donne” secondo l’avvocatessa.

Perché “ci ha fatto credere che dovevamo diventare come gli uomini”, ma la conseguenza è che “se siamo povere, sopraffatte o abbandonate dal padre del bambino, o se le spese mediche sono troppo alte per noi o per nostro figlio, la ‘responsabilità’ sociale esige che ci sbarazziamo della nostra prole”.

Che dire poi di una cultura che, a parte “le nostre professioni”, non rispetta “la capacità meravigliosa di aspettare una nuova vita umana?”. Ecco che riappare proprio la differenza fra i sessi ed è solo la differenza che valorizza l’uomo e la donna. Quando un uomo sente le parole “aspetto un bambino” si scopre talmente differente dalla donna che non gli resta che stupirsi. La stessa cosa accade ad un bambino (maschio) quando capisce che solo le donne possono “fare” un bambino e che la mamma è una… donna.

Se la “parità di genere” vuole mescolare mascolinità e femminilità in un’unica dimensione compie un tragico errore.
Le fiction televisive, si sa, cavalcano l’onda delle mode correnti perché pensano di rispecchiare la maggioranza delle opinioni sociali, ma spesso non fanno un buon servizio alla verità o almeno al buon senso. Ed è proprio la donna che subisce una specie di declassamento. Vengono mostrate donne aggressive, che parlano con un turpiloquio peggiore degli uomini, che fanno continui discorsi erotizzati, che guardano un uomo nei suoi glutei, che vogliono conquistare un uomo per “possederlo”…

Una donna che agisce “come” gli uomini. E così si declassano anche gli uomini, visiti come competitori, carnali, ignoranti.
La parità di genere vale se si evidenziano le differenze. Alla “pari” proprio perché differenti.
è importante insegnare ai bambini e alle bambine che essere differenti come creature, ed accettare con gioia queste differenze, è un gran bene per la vita di ciascuno e per la società.

Gabriele Soliani

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