Così don Bosco ancora ritorna

Verso la metà dell’Ottocento le condizioni culturali delle classi lavoratrici italiane erano molto gravi, al punto che in alcune zone del Mezzogiorno e delle isole le percentuali di analfabetismo sfioravano il 90 per cento della popolazione.

In Piemonte andavano un po’ meglio, in quanto tale percentuale scendeva intorno al 60 per cento. L’obbligo scolastico divenne un’esigenza quando, specialmente nelle zone in via di industrializzazione del Nord, la nascente borghesia ebbe bisogno di manodopera parzialmente qualificata e quindi fornita di un minimo di istruzione.

La legge Casati del novembre 1859 fu l’atto di nascita del sistema scolastico italiano, in quanto per la prima volta lo Stato si assumeva direttamente la gestione della scuola elementare che, proprio perché affidata ai comuni, restò inefficiente nelle zone più arretrate.
L’Ottocento fu però anche il secolo nel quale si diffuse e si affermò l’idea che l’educazione riguardava tutti gli strati sociali e non solo coloro che appartenevano alle classi più elevate.

In questo moderno ordine di idee nacque e si sviluppò l’opera educativa di don Bosco educatore. Don Bosco in una “novità di pedagogia” crea un nuovo cammino educativo: il sistema preventivo nella educazione della gioventù (1877). Don Bosco crea una trilogia pedagogica sul rapporto affettivo tra educatore ed educando. Parole chiave di questa metodologia: familiarità, affetto e confidenza.

Per don Bosco “la familiarità” viene considerata quale presupposto fondamentale nel lavoro educativo, poiché con essa l’educatore impegna la sua persona. Nel 1883 il giornale parigino Pélerin scrive: “Noi abbiamo veduto questo sistema in azione. A Torino gli studenti formano un grosso collegio, in cui non si conoscono le file, ma da un luogo all’altro si va a mo’ di famiglia. Ogni gruppo circonda un insegnante, senza chiasso, senza irritazioni, senza contrasto”.
Don Bosco: “Per guadagnare i cuori bisogna farsi amare”.

Un salto nel tempo: dal 1859 a questo inquietante 2021. Che cosa riusciamo a fare per i nostri giovani? Quanti giovani lasciano l’Italia per altri Paesi? Il mondo della scuola è ancora “palestra di vita” o un labirinto pericoloso? Sembra che con il Covid-19 la scuola politicamente faccia solo rumore e il legittimo e costruttivo “desiderio scolastico” dei nostri ragazzi è l’ultima “poltrona”…

Ho insegnato per più di 40 anni in città (anche Vecchi e Vinci sono stati miei allievi)… posso dire che sempre ero a disposizione degli allievi anche fuori scuola.
Quando andai in pensione, al “Nobili” ci fu una scritta: “Don Ranza uno di noi”. Ricordo i lunghi consigli di classe per aiutare un allievo in difficoltà… oggi c’è ancora tempo per questi ragazzi: ieri monelli e oggi con le responsabilità della vita e la gratitudine per i loro docenti.
Come dimenticare i presidi, la professoressa Manenti e prof. Messori? Il nome di ogni allievo era vivo nei loro figli con tanti segni… ma sempre pronti a gettare l’amo.
La sapienza di Socrate era sempre presente!

È la pedagogia di don Bosco che ha conquistato e conquista i nostri ragazzi. È l’ascolto dei nostri giovani che crea il vero rapporto educativo.
L’educatore è chiamato a “formare” e a mettersi accanto a nuove generazioni per creare i presupposti nell’avventura stupenda del futuro. Sì, domani è un altro giorno sempre!
Paolo VI: “I giovani sono la speranza della Chiesa”.
Che cosa dire, vedendo studenti per strada con diritto di una scuola e di poter spezzare il pane del sapere con i compagni? Se non si semina non c’è raccolto.

Un grande filosofo: “Uomini mentre insegnate, imparate”. Abbiamo fiducia nel mondo giovanile? Abbiamo tempo per i nostri ragazzi? Sappiamo camminare con loro? Mettiamo il nostro cuore vicino al loro cuore? Ci lasciamo educare dai nostri ragazzi con tanti ideali nell’animo? Ma chi è l’uomo senza ideali?
Un giovane, in un tovagliolino di bar, mi scrive: “Stammi vicino”.
Povero mondo antico ma anche povero mondo dei nostri giorni.
“Per aspera ad astra”.
Grazie don Bosco, grazie ancora.

Franco Ranza

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