Autoritratto

“Gli specchi dovrebbero riflettere,
prima di rimandare le immagini” (Jean Cocteau)

Questa faccia riflessa nello specchio mi è familiare.
Occhi grigio-verdi, viso allungato e magro, naso con qualche venuzza blu, mento pronunciato, orecchie importanti, fronte alta, molto alta, forse troppo alta, pochi rimasugli di capelli, messi a corona, a presenziare la scatola cranica. Sembro proprio io. La faccia è segnata da solchi profondi sulla fronte e da rughe d’espressione intorno alla bocca, mentre un fitto reticolo di rughette, graziose ma vigliacche, disegna un’inquietante ragnatela intorno agli occhi. Sorrido e si vedono gli incisivi di sopra: grossi, a paletta, di un colore indefinibile. Sembro proprio io. Se non fosse che è l’immagine di un vecchio… quindi…non posso essere io!

Io non mi sento vecchio, non ho niente a che fare con l’immagine riflessa dallo specchio: ma che, scherziamo? Sarà la luce della lampadina, di quelle moderne a “luce fredda”, capaci di evidenziare tutti i particolari con impassibile crudezza, sarà lo specchio di ultima generazione capace di mettere in rilievo anche quello che non c’è, ma quello non posso essere io.
Cosa c’entro io con l’immagine di quel vecchio che lo specchio riflette. Mi assomiglia, è vero, ma basta così.
Non credo proprio di essere io. Come quando mi dicono che ho settantotto anni: non ci credo.
Settantotto anni? Da bambino quando pensavo a una persona vecchia pensavo a uno di quarant’anni: mai pensato, neanche lontanamente, ai settantotto che qualcuno millanta che io abbia.

E non ditemi che alla mia età bisogna mettersi il cuore in pace perché “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”, perché potrei mandarvi al diavolo con una energia che neanche v’immaginate. Io voglio ancora avere, altro che balle, non voglio aver avuto e basta: devo fare mille cose, ho mille progetti, in barba ai miei settantotto anni, l’età di un vecchio.
Così come è l’immagine di un vecchio quella che si riflette sullo specchio davanti a me. Che non è la mia, ma che mi assomiglia dannatamente tanto.

Franco Zanichelli

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