Cultura e pastorale, pensare «alto»

“Le comunità, le diocesi, le parrocchie, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, i singoli fedeli stanno dando prova di un eccezionale risveglio di creatività. Insieme a molte fatiche pastorali, sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo”.

Era il 22 novembre quando il Consiglio episcopale permanente della Cei diffondeva il suo “Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia” nel quale offriva alcune considerazioni su come affrontare un periodo di prova che sembra non aver fine e che sottopone diocesi, parrocchie, sacerdoti, collaboratori e laici a un particolare “esame di maturità”.

L’idea al centro della lettera – ancora oggi sorprendentemente attuale – è che un “tempo di tribolazione” non può trasformarsi in un “tempo sospeso” del quale limitarsi ad attendere la conclusione, senza cercare per quali percorsi far incontrare il Vangelo a chi ne resta distante a motivo della pandemia o perché già abitualmente estraneo alla comunità cristiana. E se fosse proprio questo il “tempo opportuno” per avvicinare altri alla proposta di una vita ispirata dalla fede, o ritrovarli se si sono persi di vista?

Le parrocchie sono già molto provate da mesi di impegno senza soste, ma è impressione comune che non si possa vivere solo trattenendo il respiro: se questa è la situazione con la quale fare i conti, non deve suonare estranea l’idea di immaginare nuove forme di coesistenza tra pastorale “in presenza” e “a distanza”, insieme alla testimonianza della carità, perché – ricordano i vescovi – “dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo”.

A Reggio Emilia, per esempio, non si è perso di vista il fatto che la politica sia la più alta forma di carità e si è pensato di far partire secondo il programma prestabilito la proposta formativa “Tra chi vive la comunione. Percorso di fede e politica” combinando l’invito a trovarsi per piccoli gruppi di interesse secondo la modalità tradizionale con l’uso degli strumenti digitali. Strumenti che non possono evidentemente sostituire la relazione personale diretta con gli altri e con la Chiesa, ma costituiscono un ausilio da impiegare con intelligenza.

C osì ha preso il via online il 12 gennaio, con la lezione tenuta dal professor Giulio Maspero (si veda a pagina 7), il ciclo di incontri su fede e politica (gli incontri successivi sono con Paolo Pagani e con Stefano Zamagni, per concludere ancora con Maspero il 2 febbraio). L’iniziativa è stata fortemente voluta dal vescovo Massimo Camisasca, convinto che la comunità cristiana non possa limitarsi alla routine in questo periodo “nebbioso” dell’emergenza Covid.
“Penso che la Chiesa – spiega Camisasca – prendendo esempio da ciò che sta facendo il Papa, debba illuminare le menti e i cuori delle persone per aprirle a una considerazione realistica, cioè cristiana, di questo momento: siamo tutti provati da una pandemia che sembra non finire mai. Dobbiamo sostenerci a vicenda, attraverso la preghiera a Dio e relazioni positive e di sostegno con chi ci è possibile raggiungere. La storia di Israele e la storia della Chiesa sono attraversate da momenti di prova: noi sappiamo che Dio non abbandona il suo popolo, chiede però una purificazione e conversione dei cuori. Fondamentale, perciò, è una predicazione incentrata sulla Parola di Dio e un invito al ritorno fiducioso ai sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia. La Chiesa, poi, deve chiedere alla politica di fare la sua parte indicando una traiettoria chiara per vivere questo tempo. Le incertezze della politica non fanno che alimentare disperazione e disorientamento”.

Serve dotarsi di una pastorale specifica, per questi tempi? “Non penso ad una pastorale particolare – è la risposta del vescovo – quanto piuttosto alla riscoperta di ciò che è essenziale: predicazione semplice, che illustri il modo con cui Dio interviene nella storia degli uomini, fondata sui tempi dell’anno liturgico; valorizzazione delle celebrazioni in presenza, pur con tutte le attenzioni doverose; vicinanza ai poveri e a tutti coloro che sono segnati in diverso modo dalle conseguenze drammatiche di questo momento. È anche un’occasione per accorgersi di essere parte di un unico corpo. Dobbiamo aiutare le persone ad uscire dal chiacchiericcio dei giornali, delle televisioni e dei social e ad entrare in quel silenzio che è relazione con Dio che solo permette di vedere ciò che sta sotto la superficie degli avvenimenti”.

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