Il Natale non ci ha chiesto quest’anno grandi cose. Ci ha imposto però, caso mai ce ne fossimo dimenticati, di prenderci un po’ di tempo per dare spazio a Dio. Al nostro rapporto con l’eternità, o a quella dimensione spirituale che ognuno di noi coltiva nel proprio cuore. E la chiusura forzata di tanti negozi, la crisi economica, il dolore di chi vede i propri cari ammalarsi e lasciarci, ci ha obbligato a fare spazio all’ascolto delle nostre vulnerabilità. Delle nostre paure. Ci ha imposto di fare i conti con quella cruda realtà che si chiama “scadenza del vivere”. Quella urgenza fatale sempre rimasta per troppi muta e vaga sul fondale di un teatrino quotidiano costellato di impegni, distrazioni, quisquilie.
I farmacisti raccontano che non hanno mai venduto tanti ansiolitici come in questi mesi. Per non parlare degli antidepressivi cresciuti esponenzialmente con l’arrivo dei primi freddi e l’aumentato buio della giornata.
E a volte viene quasi paura di essere sopraffatti da quella che gli psichiatri chiamano “sindrome della capanna”. Tipica dei paesi del Nord Europa, avvolti dal gelo e da giornate prive di luce naturale. Una sorta di addormentamento collettivo, insomma, che opacizza il futuro e rallenta le attività.
Continua a leggere tutto l’articolo di Catia Iori su La Libertà del 13 gennaio 2021